Come domare un principe

Polly viene da una famiglia disastrata e sa da sempre qual è il suo obiettivo nella vita: trovare un uomo ricco, anzi ricchissimo, e sistemarsi a sue spese. Il primo step del suo programma è vendersi in internet al miglior offerente. Potrebbe infilarsi in guai seri e trovare un sadico, un maniaco o un serial killer, ma l’uomo che compra la sua verginità è solo un principe. Non un principe azzurro, questo è chiaro, un principe saudita. Un misogino, maschilista, dispotico, possessivo, insensibile, miliardario arabo, con tre mogli nel paese natio e uno stuolo di amanti in mezzo mondo, uno per cui Polly è un’infedele, e dunque due volte inferiore. Ma è bella, così bella, e Rashid finisce per offrirle un contratto in esclusiva con lui. Senza immaginare che quella “donna immorale” potrebbe mettere in discussione il suo punto di vista, la sua vita e il suo mondo.

Quello è Rashid bin Muhammad al-Kabir? C’è qualcosa di sbagliato. Oh, c’è qualcosa di totalmente sbagliato, per forza. In realtà vuole affettarmi. Farmi male in qualche modo. Quel tizio lì non può aver pagato per la mia vagina.
È seduto in poltrona, le gambe accavallate. Pantaloni scuri, una camicia bianca dalle maniche rimboccate, aperta su un torace… perfetto. È perfetta tutta la confezione, non ci sono altre parole. Il viso dai tratti aquilini può piacere o non piacere, presumo, ma lo definirei comunque attraente. Ha un pizzetto nero, folto, ma non è troppo peloso. Anche gli occhi sono neri, neri e divertiti. I capelli gli ricadono in riccioli scuri attorno al viso. Dubito che sembrerebbe buffo anche con la tovaglietta in testa e la camicia da notte addosso. Ora è scalzo e… uhm, si sta alzando. È alto e snello. In forma. Si è dato da fare in palestra e si vede. Ha nove anni più di me, ma sembrano meno. Nel contempo, sembrano anche di più, quando mi guarda con quell’espressione quasi ironica.
«Mary Harvey» dice. «Non hai un diminutivo, qualcosa di più giocoso?».
«Uhm… Polly».
«Polly. Come si arriva da Mary Harvey a Polly, solo per curiosità?».
Emetto una risatina nervosa. Sta cercando di mettermi a mio agio? Non ci sta riuscendo.
«Da Mary, presumo. Mary, Molly, Polly. È così che funziona in… uhm».
«In inglese, chiaro. Tutto funziona sempre in modo illogico, in inglese. Bene, Polly». Se lo rigira in bocca e ho l’impressione che mi prenda in giro.
Si avvicina ancora. Io resto ferma. Dio, come non voglio essere qua. Ma ormai ci sono e non so come comportarmi. Il panico mi cresce dentro sempre di più e decido di confessare. Che altro posso fare? È chiaro che non voleva me. Voleva qualcosa di diverso. Di meglio, almeno ai suoi occhi.
«Non… non so cosa fare» dico. «Mi dispiace».
«Perché, che cosa devi fare? Niente, cedere. Sii donna, la parte passiva. A tutto il resto penso io».
È rassicurante, in un certo senso. In un altro non è giusto, se capite il mio punto. Dovrei comunque avere voce in capitolo, no? Ma forse no, alla fin fine. Gli ho venduto il mio corpo, lui l’ha comprato. Che voce in capitolo dovrei avere?
Ora è vicinissimo. Mi solleva il mento con due dita, mi scruta con quegli occhi neri come ossidiana. «Hai paura?».
«N-no».
«Non devi averne. Come ti ho già detto, penso a tutto io. Togliamo questo affare».

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Classificazione: 4.5 su 5.

Caradoc

In un futuro vicinissimo a noi l’Inghilterra è diventata uno stato totalitario, dove ogni libertà individuale è bandita, tutti gli stranieri sono stati cacciati, l’economia è crollata e chi non si rassegna finisce nelle mani della polizia politica. È quello che è successo a Sienna McLane, la cui unica infrazione è stata sposare un suo amico gay per salvarlo dalla “rieducazione”. Riconquistata la libertà a caro prezzo, si è unita alla Resistenza, ma è stata catturata di nuovo. Ora, dopo tre anni di inferno, viene trasferita alla Sezione Speciale, un carcere diverso da tutti gli altri carceri, con un chiostro silenzioso e le celle sempre aperte… un luogo sereno in cui il direttore le dice con semplicità che avrà solo due scelte: collaborare o morire. Sembra che per Sienna tutto sia finito, ma nel direttore della Sezione Speciale c’è qualcosa di insolito. Caradoc Trelease ha la pelle scura e gli occhi pieni di segreti. È davvero un nemico? O è solo un uomo con un obiettivo da perseguire senza pietà?

Caradoc la incollò al muro con il suo corpo, il petto contro il suo petto, una mano che le stringeva dolorosamente un polso.
«Non vuoi il tuo dolcetto, cara?».
«C-Caradoc, aspetta. Era una richiesta innocen-
«Non prendermi per il culo, okay?» la interruppe lui, schiacciandola ancora più forte. Sienna riusciva a sentire la barriera dura dei suoi muscoli pettorali, i bottoni della giacca, la sua coscia premuta sull’inguine…
Rabbrividì, scoprendosi eccitata come mai prima.
«Pensi che sia scemo? Che messaggio ha passato quell’inetto?».
«Non… non è coinvolto».
Trelease le strinse più forte il polso, le diede un altro spintone contro il muro e Sienna quasi gemette di piacere. Molto normale, davvero. Tutto sotto controllo.
«Io lo so che non è coinvolto. La polizia politica? Loro vogliono controllare per bene, e non dubitare che lo faranno».
Lei gli rivolse un sorrisino finto-compassionevole. «Uno in meno, no?».
Trelease le torse il polso fino a farla uggiolare di dolore. «Che messaggio ha passato?».
«N-niente di speciale, Caradoc. Che sono viva. Che sono qua. Che altro avrebbe mai potuto comunicare, presentandosi in un luogo e comprando una ciambella?».
Lui la scrutò in silenzio per diversi secondi. Lo vedeva, quanto era eccitata? Si rendeva conto che stava per mettersi a godere?
Come mai fosse ridotta così, Sienna non lo sapeva e non era sicura di volerlo sapere, ma come si sentiva era un fatto innegabile. Aveva la passera tutta bagnata, i capezzoli duri, il respiro affannoso.
«Chi è quella gente?».
Lei sorrise. «Suvvia».
«Se ti vedo di nuovo fare la civetta con uno dei miei uomini ti strappo la pelle a forza di frustate».
«Davvero? Sei così geloso?».
Per un attimo nei suoi occhi d’ambra passò un lampo di confusione. Poi rise e si allontanò di mezzo passo. Le lasciò andare il polso.

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Classificazione: 3.5 su 5.

Il giardiniere

Non è facile gestire un albergo a cinque stelle. I clienti sono esigenti e avanzano strane richieste. Il Blue Springs Hotel ha anche una spa e un grande parco, piscine termali, saune e boschi tutto attorno. Un vero paradiso… se sei un ospite. Courtney Staples è la direttrice e prende il suo lavoro molto sul serio. Specie ora, che l’albergo è stato acquistato da una catena internazionale e tutti si sentono un po’ sotto esame, Courtney si attiene a un codice deontologico molto preciso. Certo, c’è Mike, il massaggiatore che vuole sedurla a tutti i costi, e c’è Kovach, il nuovo giardiniere che fa sospirare tutte le clienti dell’hotel. È proprio con Kovach che Courtney rimane convolta in una sgradevole avventura, un episodio che è solo l’inizio di un’amicizia più profonda. Ma che fare se il giardiniere che hai conosciuto e per cui provi qualcosa ha un segreto e non è l’uomo che sembra? E se di segreti ne ha due?

“Quell’uomo”. Lo chiamo così perché da quando mi accorsi di lui a quando appresi il suo nome, per me fu semplicemente “quell’uomo”.
Quell’uomo era alto come un grizzly, con i capelli ispidi, le spalle possenti, il viso spigoloso. Le ospiti si voltavano per ammirarlo, mentre andavano verso le piscine. Le loro testoline avvolte negli asciugamani candidi si voltavano come in una coreografia, se quell’uomo stava potando le siepi lungo il viale che dal padiglione massaggi portava alla zona termale. Se il sudore gli incollava la maglietta alla schiena muscolosa, scatenava veloci tempeste ormonali. Alla vista del suo corpo scolpito dal lavoro, le signore inarcavano sopracciglia, sorridevano, si scambiavano occhiate e risolini.
Anch’io mi ero accorta di lui quasi subito, ma per altri motivi. Non ho mai avuto una mente frivola e in quel periodo tutti i miei pensieri erano occupati dall’imminente passaggio di proprietà, quindi non era stato per il suo aspetto fisico.
Avevo notato quell’uomo al suo secondo o terzo giorno all’hotel, una sera in cui aveva cacciato via da una delle piscine un gruppetto di ospiti adolescenti.

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Classificazione: 4.5 su 5.

Amnesia

Tess McKannon è appena uscita dal lavoro e sta per prendere la metro in una stazione centrale di Londra, quando viene travolta da un tizio che ha perso l’equilibrio sulle scale. A un esame più ravvicinato il tizio è un uomo elegante, alto belloccio… e ha un’espressione fin troppo confusa per essere solo stato spinto da qualcuno. Come Tess scoprirà di lì a poco, lo sconosciuto non ricorda più nulla, neppure il suo nome. Su una tempia ha una sbucciatura che suggerisce che abbia preso un forte colpo. Ma c’è qualcosa di strano. Attorno a “John K. Burke” ruotano personaggi equivoci della malavita internazionale e anche lui è convinto di non essere “una brava persona”. Qual è il segreto che nasconde? Se Tess vuole scoprirlo dovrà farlo a suo rischio e pericolo.

L’uomo che aggredì Tess la spintonò bruscamente e la fece quasi cadere a terra. Le strinse con forza i manici della borsa ed esclamò: «Ehi!».
Lui riuscì a recuperare l’equilibrio e la fissò con sguardo confuso.
«Mi scusi…» mormorò, e Tess si rese conto che non era un aggressore.
Invece era un tizio alto e magro, dal viso affilato ma non sgradevole, dall’aspetto serio e dall’abito di buona fattura. Indossava un cappotto leggero grigio scuro e aveva in mano il sacchetto di un negozio costoso. Un rivolo di sangue gli scendeva dalla tempia.
«Lei è ferito!» esclamò, preoccupata.
Lui si toccò la fronte, confuso. Ritirò la mano e osservò il sangue. Non sembrò stupito. Tirò fuori un fazzoletto da una tasca e si tamponò la ferita. Il sangue, fortunatamente, non era molto copioso.
«Che cosa le è successo?» chiese Tess. «Si sente bene?».
«Sì, grazie. Non ho idea di cosa sia successo, io…» sulla sua fronte si disegnò una ruga di concentrazione. «No, non riesco a ricordare». Aveva un accento americano.
«Probabilmente qualcuno le ha dato uno spintone… venga, forse è meglio che si sieda un attimo». Lo condusse verso il Pret a Manger che era subito fuori dai tornelli della metropolitana. Tess lo fece sedere su uno sgabello e lo osservò mentre si tamponava la tempia. Poi le venne un pensiero. «Credo che sia meglio che controlli di avere ancora il portafogli».
L’uomo si infilò una mano nella tasca interna della giacca.
«È qua,» disse.
«Come va, ora?»
«Meglio. È stata molto gentile, io… mi dispiace esserle piombato addosso così». Un lieve sorriso. «Come minimo avrà pensato a un maniaco. Mi scusi».
«Non lo dica nemmeno. Vuole che le vada a prendere qualcosa da bere? Un succo di frutta, un tè?».
Lui fece un cenno di diniego, sempre tamponandosi la tempia.
«Non ce n’è bisogno, grazie. Lei è già stata fin troppo gentile. Ora posso andare».
Si alzò e le tese la mano. Tess la strinse, un po’ dispiaciuta di non averne saputo di più su di lui. Sembrava un tipo interessante, con i bei vestiti e l’accento americano. Ma non poteva certo obbligarlo a farsi aiutare, no?
Lo salutò e tornò verso i tornelli della metro, tirando di nuovo fuori l’Oyster. Non seppe resistere alla tentazione di voltarsi un’ultima volta. Non c’era nulla di male, si disse. Se lui l’avesse vista gli avrebbe sorriso e l’avrebbe salutato con la mano.
Lo individuò davanti ai distributori automatici dei biglietti. Aveva un’aria spersa e dietro di lui si stava creando una coda di passeggeri ostili. Tess lasciò perdere per la seconda volta i tornelli e andò a salvarlo. Perché poi si stava dando tanta pena per quel tizio?
Perché era belloccio? Era davvero così frivola?
Be’, probabilmente sì, decise, avvicinandosi. «Mi scusi, non vorrei sembrarle invadente, ma è sicuro che vada tutto bene?».
Lui le rivolse uno sguardo smarrito. «Veramente no».

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Classificazione: 4 su 5.

Liaison Secrète

Sesso & Potere 5

Neptune Morgan ha una cicatrice sulla gola che le ricorda di non fidarsi degli uomini, specie di quelli che ami. Sono passati dieci anni da quando il suo ex-marito ha cercato di ucciderla e nel frattempo ha fondato un’associazione per proteggere le donne come lei. Ora è stata chiamata a far parte come membro esterno di una commissione parlamentare che deve discutere una nuova legge sulla violenza di genere. Neptune non è una politica, non sa come muoversi, ma trova un aiuto inaspettato nel cancelliere in persona. Ray si porta dietro un lutto che lo opprime, ha lo sguardo triste come una mattina di febbraio, un figlio adolescente che è tutta la sua famiglia… e capisce che Neptune ha bisogno di una guida. È così che si rende conto che forse non tutto è morto, dentro di lui…

Si sedettero su un muretto per rimettersi le scarpe. Il cancelliere si diede una spolverata ai piedi lunghi e magri, Neptune ci mise un’infinità solo per liberare dalla sabbia metà del primo piede.
«Dia qua».
Il cancelliere usò il suo fazzoletto per asciugarle e ripulirle il piede destro, mentre lei si dedicava al sinistro. La sua posizione, con entrambe le appendici in aria, doveva anche essere piuttosto buffa. Ma le sue mani sulla caviglia la facevano rabbrividire.
Lui le tirò su l’orlo dei pantaloni, asciugandola fino al ginocchio. Il suo palmo scivolò giù per la sua gamba, fino al dorso del piede. Poi le sue labbra, leggere sul perone, sulla caviglia.
Neptune avvampò per la sorpresa. Il desiderio la stordì come un colpo improvviso. La sua fica era già in fiamme, ma ora si bagnò così tanto che i suoi umori si mescolarono con l’acqua salata sulle mutande.
Lui non disse niente.

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Classificazione: 4 su 5.

Nel silenzio dello spazio

La nave spaziale su cui viaggia Viola, diretta verso un laboratorio chimico, viene accerchiata da un branco di oolonga, gigantesche creature spaziali, cacciate per le sacche di multitropina che hanno sotto il collo. Gli oolonga distruggono la nave e Viola e i suoi compagni morirebbero, se non venissero soccorsi appunto da una nave di cacciatori. Senza più un mezzo di trasporto, sono costretti ad andare con loro. La Quatermain insegue il branco fino a un pianeta roccioso, dove ha inizio la caccia vera e propria. Il capo spedizione, Zane, è un uomo di pochissime parole, di cui Viola subisce immediatamente il fascino. Ma purtroppo non è l’unico membro dell’equipaggio, e nel silenzio dello spazio possono succedere cose, brutte cose, con cui poi sarà difficile convivere.

Andai al magazzino e presi una tuta e una maschera. Il mezzo di supporto era già stipato di bombole, quindi non avevo bisogno di portarne altre. Percorsi il tunnel di collegamento con le scatole in mano e quando arrivai nell’hangar mi resi conto che c’era da surgelare. L’escursione termica tra giorno e notte era pazzesca, su Pod.
Tirai fuori la mia tuta e me la misurai addosso. Sembrava parecchio piccola e mi venne il sospetto di non entrarci.
«Forse ti serve una M, alla fine».
Mi voltai. Zane era vicino all’imbocco del tunnel, con in mano un oggetto tondeggiante. Lo sollevò per mostrarmelo. Sembrava una granata.
«Un’arma a raggio energetico non ti servirebbe a nulla. Non sapresti usarla. Questa ha un effetto stordente. Non dovrebbe essercene bisogno, ma…»
«Okay. Non si può mai sapere».
Venne verso di me. Mise la granata in una tasca laterale del mezzo di supporto. Mi guardò. L’aria era davvero gelida, ma sentii lo stesso un’ondata di calore.
Lo guardai a mia volta. Quegli occhi color lime, le pupille larghe di desiderio. La fossetta in mezzo al suo mento. L’avrei voluta mordere. La mia mano destra andò alla linguetta della zip senza neppure accorgersene. «Dovrei provarmi la tuta» dissi, a voce molto bassa.
Era una stupida bugia e lo sapevamo entrambi.
Zane finì di tirarmi giù la linguetta e mi denudò le spalle. L’aria gelida accarezzò la pelle del mio sterno e delle mie braccia. Feci un respiro profondo e nel farlo gonfiai la cassa toracica. Una delle mani di Zane mi scivolò tra i seni, sopra la canottiera. Ne strinse uno e io sospirai.
Solo in quel momento presi consapevolezza del suo corpo davanti al mio, del suo sguardo verde che mi scrutava, mi frugava la faccia e tra i seni.
Mi fece voltare. Fu così semplice da essere quasi ridicolo.

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Classificazione: 3 su 5.

Una gabbia dorata

Tra le Terre dell’Est e quelle dell’Ovest infuria la guerra da quasi due secoli. Quello che un tempo era un unico popolo si è diviso più volte. Da un lato gli elfi bianchi e quelli silvani, e i loro alleati umani; dall’altro gli umani dell’Est e tutte le specie che a Occidente considerano ripugnanti o pericolose: elfi neri, golbin, troll, orchi…
Elli Nakril è la figlia di un anziano del Consiglio dell’Ovest. È un’elfa silvana, una guerriera. Quando viene catturata e portata a Est sa che gli orientali la useranno come merce di scambio. Viene chiusa nella Cittadella della capitale dell’Est, prigioniera del loro odiato regnante: Syryt Thygarest, un mago oscuro, così magico da non sembrare neppure più umano.
Eppure… è proprio quell’uomo terribile a parlarle per la prima volta di pace. Della possibilità di mettere fine alla guerra e agli spargimenti di sangue. Le parla, la convice… la affascina. E la prigionia di Elli diventa piacevole, gli ideali di Syryt sempre più allettanti.
Ma nulla è facile. A ovest sospettano della buona fede dell’Est… e forse hanno ragione. Perché Elli inizia a rendersi conto di essere ancora in prigione, una gabbia dorata di cui è difficile persino scorgere le sbarre.

Thygarest era comparso accanto a me, seduto con le gambe accavallate, i capelli che si confondevano con il colore della notte e un’espressione divertita sul viso.
«Non danzerò» ribadii.
«No?» chiese lui. Scivolò ai miei piedi, inginocchiato come un pretendente, e mi sfilò le scarpe. «Tornerai a casa scalza, quindi» disse, rialzandosi e allontanandosi con le mie scarpe.
«Ridammele!» protestai, inseguendolo.
Lo rincorsi tra la gente che ballava. Thygarest non stava correndo, ma in qualche modo era sempre un paio di passi avanti a me. E io sentii l’erba fresca sotto i piedi e la danza mi travolse senza scampo.
«Dannazione» borbottai.
E iniziai a danzare.
Danzai e piroettai, saltai e svolazzai, lasciandomi invadere dalla primavera. La frenesia del risveglio si impadronì di me e iniziai a cantare la mia magia, risvegliando tutto ciò che avevo intorno. L’erba cresceva, sotto i miei piedi, e gli alberi mettevano nuove foglie, i fiori aprivano le corolle come se fosse l’alba e i rami si muovevano, sgranchendosi.
Il mio canto salì di volume, abbracciando tutto il parco, mentre danzavo e danzavo, completamente infiammata dalla primavera.
Sentii due mani prendermi per la vita, alle mie spalle. Sapevo che solo una persona avrebbe potuto farlo, in quel momento, mentre tutta la mia natura era dispiegata attorno a me. Mi voltai e infatti era Thygarest.
Danzò con me. Fu… stranissimo.
La sua magia si intrecciò alla mia, si fece simile alla mia e anche lui cantò il risveglio. Non so che cosa vide la gente che avevamo attorno. Una coppia che ballava una strana danza fluttuante, forse. Tutto si fece intenso, profumato, sensuale. Il risveglio mi sciolse le gambe e i fianchi, riempiendomi del piacere così particolare della rinascita.
Fu come fare l’amore. Thygarest doveva capirlo e assecondò quell’onda languida.

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Classificazione: 4 su 5.

La ragazza a un mondo di distanza

Green Mews è un postaccio, un quartiere di edilizia popolare ormai decrepita, in mano agli spacciatori e abbandonato dal resto della società. È lì che viene scaricato il corpo dell’ultima vittima dell’assassino seriale a cui sta dando la caccia il Detective Porter, della Metropolitan Police. Inutile dire che da quelle parti gli sbirri non sono visti molto di buon occhio. Ma c’è una ragazza, che girella attorno alla scena del crimine, una ragazza come un gatto selvatico, difficile da avvicinare, ma capace di stupire per intelligenza e generosità: Delyse. È l’inizio di un’amicizia difficile, venata di attrazioni complesse e incomprensioni quasi buffe. Porter con la sua missione e Delyse che cerca un futuro diverso. Forse non erano neppure destinati a incontrarsi, ma ormai è successo… anche se sembrano venire da due universi paralleli.

Delyse guardò dallo spioncino e vide Grant Porter, lo sbirro del giorno prima.
Gli colava qualcosa sulla faccia. E sui capelli. E, guardando con attenzione, sulla camicia.
Sembrava uovo.
Porter fece un gesto rassegnato. «Un’ottuagenaria obesa mi ha tirato delle uova. In questo quartiere non c’è un bagno pubblico».
«Uhm… non so se puoi entrare»
Per prima cosa era ancora in pigiama, chiaramente appena uscita da letto, con addosso solo dei pantaloncini molto corti e una casacca di cotone. Non si sentiva molto a suo agio con uno sconosciuto nei dintorni. I suoi capelli dovevano essere simili a un fungo atomico, cosa che un po’ la infastidiva. Doveva usare il bagno. Ma, specialmente, aveva la sua piccola coltivazione in soggiorno.
Porter sospirò. «Se non hai un cadavere crivellato di proiettili sul divano, credo di poter passare sopra a ogni eventuale altro crimine».
«È per uso personale» chiarì lei.
«Non mi interessa. Ho dell’uovo che mi sta colando giù per il petto e si avvicina sempre più alle mie parti private».
Un po’ controvoglia, Delyse si fece da parte. Casa sua era un casino, tra l’altro. Ma se l’uovo gli stava per colare sul pisello…
Grant entrò e rivolse a malapena un’occhiata al suo soggiorno. Si tolse la giacca (che sembrava scampata al bombardamento) e la mollò su una poltrona, poi seguì la direzione del suo indice verso il bagno. Si slacciò la fondina e la posò per terra accanto ai suoi piedi, poi si liberò anche della camicia e della t-shirt bianca che aveva sotto. Delyse seguì l’operazione con occhio critico. Non aveva riflettuto sul fatto che avesse una pistola. Era una cosa che non le piaceva un granché. Ma upgradò la sua categoria da “scopabile” a “sexy”, visto che comunque aveva un bel paio di spalle e un torace molto okay. Lui si sciacquò la faccia senza degnarsi di chiudere la porta. Bloccò un rivolo di albume che gli stava colando giù per una pancia piatta piuttosto interessante, intercettandolo giusto prima dei primi peli dell’inguine, poi le fregò con naturalezza il sapone e iniziò a insaponarsi la peluria del petto.
Ora i suoi addominali bugnati erano coperti di schiuma bianca.
Delyse osservò con occhio critico il manzo semi-insaponato che si era trovata nel bagno. C’era di peggio. Alzò il suo rating da “sexy” a “figo”.

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Classificazione: 3 su 5.

Cadranno i tuoi veli

Samantha, detta Sam, è tornata dall’Africa da pochi mesi e Brooklyn le sembra un paese ostile e straniero. Ha problemi di ansia e il lavoro che le ha trovato la ONG per cui lavorava in Kenya la deprime profondamente. Immaginava il suo futuro in modo diverso.
La prima notte nella nuova casa, per di più, viene svegliata da dei rumori inconfondibili nell’appartamento accanto: la testiera di un letto che batte contro il muro e gli ululati di piacere di una donna. Il giorno seguente conosce un tipo simpatico nella lavanderia del palazzo e solo alla fine si rende conto che è lui, il vicino di casa che le ha dato quel benvenuto così particolare.
Nell’arco di qualche settimana capisce che Asher è un seduttore seriale, che si libera delle conquiste subito dopo aver fatto sesso con loro. E che lei ha il dubbio privilegio di poter sentire attraverso il muro buona parte delle sue “prodezze”. Se Asher fosse solo questo Sam cambierebbe stanza alla propria camera da letto e la finirebbe lì. Ma quel ragazzo bello e amichevole ha dentro delle ombre che conoscere non è facile e un passato doloroso che, in un certo senso, rispecchia quello della stessa Sam…

Qualcosa sbatteva contro il muro. Tump-tump-tump, e così via a ritmo regolare, quasi ipnotico. Sentii un lamento, poi dei gemiti sempre più forti. Gemiti femminili. Una voce che diceva cose che non capivo per intero e che comunque non volevo…
Okay, cose che capivo quasi per intero, in realtà, perché la signorina, chiunque fosse, voleva comunicarle all’intero palazzo. Cose tipo: “Oh, sì, scopami, sfondami con quell’arnese gigante”; e tipo: “Oh, sì, ancora, sei così grosso, non resisto più, ti prego continua”.
Scusate se non riesco a rendere l’enfasi. Era piuttosto enfatica.
Lui, il possessore dell’arnese gigante, non emetteva un suono. Immaginavo che fosse il responsabile del tump-tump-tump ritmico, e che il tump-tump-timp fosse la testiera del letto che sbatteva contro il muro, ma non ne avevo le prove. Sembrava solo l’ipotesi più ragionevole.
La faccenda andò avanti per una decina di minuti, poi la tizia emise una serie di veri e propri ululati e i colpi sul muro finirono.
La donna disse qualcosa ridendo, lui sempre muto. O, insomma, parlava a voce troppo bassa perché potessi farmi i fatti suoi.
Mi chiesi chi vivesse nell’appartamento accanto al mio, è ovvio. Mi chiesi anche se fosse una coppia (in quel caso forse era meglio che spostassi la mia camera da letto) o una single. Speravo per loro che scopassero così tutte le sere, ma speravo per me che fosse solo una cosa occasionale.
Certo che ci avevano dato dentro.
Mmm… erano millenni che non mi capitava, e comunque non l’avevo mai fatto con quella foga, ne ero sicura.
Non so quanto tempo passò. Stavo di nuovo per addormentarmi, quando un nuovo gemito mi mise sul chi vive.
A seguire, i mugolii sempre più forti della mia nuova vicina e del suo focoso ragazzo. Il quale, per quel che ne sapevo, poteva anche essere muto.

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Sotto i suoi occhi

Serena ha sposato l’uomo che la sua nobile famiglia ha scelto per lei. Il signore di Angtor è un uomo posato, un regnante capace, un marito assente. Sono riusciti a fare due figli senza quasi toccarsi e ora le loro vite scorrono su due binari paralleli e non si incrociano mai… e a Serena sta bene così. Ma tutto cambia all’improvviso quando una nazione vicina li invade e Serena, Blaze e i loro figli sono costretti a fuggire. Nei pochi giorni in fuga Serena capisce che l’uomo che ha sposato è più interessante di quanto pensasse e scopre il piacere di stare con lui. Il destino, tuttavia, ostacolerà questa nuova felicità in tutti i modi, sottoponendoli a una prova difficile, forse impossibile da superare…

Serena si sedette su una balla di fieno per disfarsi dei vestiti bagnati e prepararsi per la notte.
Si infilò le mani sotto alle gonne e trovò la giarrettiera. Si slacciò le calze e si accorse che Blaze distoglieva lo sguardo.
«Suppongo che non sia il momento migliore per fare i pudici» sospirò. «In ogni caso sono un disastro».
Lui si sedette lì accanto e iniziò a scalzarsi gli stivali.
«Vuoi scherzare. Con tutto quello che abbiamo passato i tuoi capelli sono ancora perfetti. Se ci fosse un concorso di portamento per le donne, come per i cavalli, il tuo primo posto sarebbe scontato».
«È una parrucca, lo sai, vero?».
Blaze si voltò dalla sua parte, un calzino fradicio in mano.
«Sul serio? Ma sembrano i tuoi… capelli?» la sua voce si era fatta sempre più incerta.
«Credo che tu non abbia mai visto i miei capelli» replicò lei, divertita. L’espressione di lui era piuttosto buffa. «Ma stai per avere questo onore, dato che devo toglierla».
Serena si liberò della parrucca. Al di sotto aveva una treccia a crocchia.
«Be’, sono simili. E sono… come si dice? Molto in ordine anche questi. Per un attimo ho pensato che fossi calva o…»
Serena rise sottovoce e lui si interruppe.
«Scusa» disse. «Non sta a me fare commenti sulla tua capigliatura. Dimmi come posso… ehm, che cosa dovrei…»
«Per prima cosa la chiusura del vestito».
«Molto bene».
Sentì le mani di lui sulla schiena, veloci e delicate, che allargavano i nastri e li facevano scorrere nelle asole. Non erano mai stati così vicini, pensò, con vago stupore. Fisicamente vicini. Avevano avuto due figli, ma non si erano mai permessi confidenze.
Ora, mentre si liberava del vestito bagnato, si rese conto che il suo sguardo la faceva arrossire. Non perché fosse Blaze, ma semplicemente perché era… un uomo.
Gli diede di nuovo le spalle e si sfilò la sottogonna. Anche mostrargli le gambe nude le faceva bruciare le orecchie.
«Ora… ehm… di solito tolgo anche il corsetto» spiegò, senza guardarlo.
«È naturale. Sembra scomodo».
Di nuovo sentì le sue mani sulla schiena. La aiutò ad allargare il corsetto, in modo che lei potesse sfilarlo. Serena lo posò accanto al vestito, rossa per la vergogna. Fino a quel momento l’unica a vederla con i seni nudi era stata la sua cameriera personale.
Guardò Blaze e Blaze guardò lei.
Gli occhi di lui scivolarono sul suo corpo. Prese fiato lentamente. Per un attimo Serena vide tutta la sua ammirazione, un sentimento che non aveva mai percepito in lui, poi Blaze si voltò per prendere la camicia da notte tutta lisa dal pacco di abiti vecchi che aveva loro consegnato la domestica.

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