Dalla parte del torto

I regni di Marmor e Amandre si contendono da sempre un fazzoletto di terra al confine tra le due nazioni, una guerra che è diventata una sanguinosa abitudine. Finché la secondogenita di Amandre, Malachite, non viene catturata dai nemici. La sua sorte è sancita dalle antiche e crudeli tradizioni di Marmor e l’ordalia che dovrà sopportare non le lascia scelta, né dignità. L’esecutore del suo destino è il riluttante generale Turmalin, che sente su di sé tutta la vergogna del compito che è chiamato ad adempiere. Nel frattempo i due principi nemici, Mercure e Falke, sono legati da una vendetta altrettanto terribile: carnefice l’uno, martire l’altro. Come può nascere l’amore, quando è così chiaro da che parte cade il torto? Come può esservi speranza?
Eppure non sempre tutto è lineare come sembra e la passione può essere un sentimento contorto, difficile, violento… e incontrollabile.

Akelei si avvicinò al maestro di cerimonia.
«Generale Turmalin» disse lui, con un inchino.
Due guardie stavano slegando la principessa, senza nessuna gentilezza.
«Come devo procedere?» rispose Akelei, senza tergiversare.
Il maestro di cerimonia annuì. «Porteremo subito la prigioniera alla sua residenza, generale. Resterà sotto la sua custodia, sua responsabilità. Dovrà aspettare il primo ciclo, prima di procedere». Un lieve sospiro. «Be’, potrebbe anche non essercene bisogno».
«Me lo auguro» rispose Akelei, anche se sapeva fin troppo bene quanto fosse improbabile.
No, era rassegnato al suo destino.
L’illustre generale Akelei “Tiger” Turmalin, eroe di guerra pluridecorato, avrebbe aggiunto al suo stato di servizio un nuovo titolo: esecutore del principe.
In una parola, torturatore reale.

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Classificazione: 4 su 5.

Un’abitudine pericolosa

Aidan Smith ha perduto l’amore. Almond se n’è andata con un altro e non tornerà più. Forse per questo, quando gli hanno chiesto di tornare in medio oriente e di rischiare la vita per il suo Paese, non ha trovato nessun motivo per rifiutare.
Brooklyn Wilson la vita ha scelto di rischiarla coscientemente. Essere una marine per lei non è più abbastanza, da quando suo fratello è morto in Afghanistan, così decide di entrare in una squadra per le operazioni speciali. In quella squadra ognuno ha un motivo, chissà quale, dal tenente Cruz, un concentrato di testosterone e sex appeal, alla bella caporale Scott, al silenzioso Daniels, a Fisher il cui matrimonio è finito, a Cole dal sorriso aperto.
Le storie di tutti loro stanno per incontrarsi tra le montagne aspre al confine tra Pakistan e Afghanistan, dove la vita vale poco e l’amore è un lusso che nessuno può concedersi.

Quando il debriefing era finito, Wilson gli aveva chiesto se aveva qualche altro minuto per parlare con lei, senza il registratore.
«Ma certo» aveva risposto Aidan, anche se tutto quello che voleva era andare a letto.
E così ora erano seduti al banco del bar dell’hotel dove Stonewall l’aveva portato la sua prima sera a Islamabad, dove l’aveva interrogato facendola passare per una conversazione amichevole, per poi annunciargli che il giorno dopo gli avrebbero fatto il poligrafo. Procedura standard.
Aidan aveva passato la macchina della verità senza sforzo. Era una di quelle persone, di quelle il cui battito resta costante, che non sudano quando mentono e le cui pupille si allargano solo quando hanno paura o sono eccitate, ossia non durante uno stupido test.
«Non sono riuscita a capirlo» gli disse Wilson, con davanti un bicchiere di bourbon. «Che cosa ne pensa lei, no? Di solito lo capisco, ma lei è davvero impenetrabile».
«Sì?».
«In senso positivo. Dev’essere bello essere così… distaccato. Scusi, non dormo da troppo tempo, parlo a vanvera».
«Lo dica a me. Ma non sono distaccato, lo sembro solo».
Lei rise, bevve un sorso. «Un bel vantaggio. Non so che cosa pensare di tutta questa storia. Ho già cambiato idea mille volte. Eppure non è difficile: Cruz ha preso la decisione giusta. Come ha fatto non lo so…»
«Perché aveva una relazione con Scott».
«Ah, quindi lo sa».
«È più o meno la prima cosa che mi ha detto. È abbastanza devastato».
Wilson guardò nel bicchiere. «Uhm, le ha detto anche…»
Certo che glielo aveva detto, ma Aidan fece il finto tonto. «Che cosa?».

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Classificazione: 4 su 5.

La pelle del mostro

In una città lagunare ormai in rovina, Raina ha rinunciato a tutto: al proprio lignaggio, a ogni affetto e alla speranza. La città è a pezzi, dilaniata da una lotta intestina tra fazioni e accerchiata da un nemico soverchiante. La povertà dilaga, i canali sono invasi dai serpenti marini, non resta quasi nulla dell’antica tecnologia e dell’antico splendore. Raina è alla deriva, finché non le capita di salvare una ragazzina coraggiosa e sventata: Jayde. Jayde è la figlia di Uno dei signori della città, il famigerato e crudele Argent Sephiran, ma non è come lui. È affamata d’amore e vuole dimostrare al mondo di valere qualcosa. Così tra la ragazzina senza una madre e la giovane donna senza una famiglia si crea una strana, profonda, amicizia. Argent è sospettoso nei confronti di Raina, ma ama sua figlia più di qualsiasi cosa al mondo e per lei è disposto a proteggere anche la nuova arrivata. Che, tra l’altro, è un’incredibile cacciatrice di serpenti marini. Ma in una città come la loro nessun affetto è semplice, e ogni speranza ha il suo prezzo.

Presi il mio equipaggiamento e iniziai a trasferirlo sul mio barchino. Del serpente si sarebbero occupati gli uomini di Sephiran, grazie al cielo. Scuoiarne uno non era molto simpatico.
«Non intendi reclamare questa pelle, Raina Tempest?» chiese una voce divertita, dalla banchina.
Alzai lo sguardo.
Argent Sephiran stava seguendo le operazioni attorno alla nostra preda, le braccia incrociate sul petto e un mezzo sorriso sul volto.
Mi inchinai.
Sephiran mi chiamò con un dito.
Merda, pensai, ora che cosa succede?
Saltai sulla banchina, rassegnata a perdere il mio nuovo posto di lavoro.
Mi inchinai di nuovo. «Signore?».
Lui indicò il serpente con un cenno del capo. «Sul serio. Non reclami questa pelle?».
«È di Jayde».
«Sì? È stata lei a finirlo?». Un altro gesto nei confronti del serpente. «È stata lei a colpirlo all’occhio? A portare quel colpo da maestro?».
Sospirai. «Sta imparando».
«A me pare che stia rischiando la buccia per l’unico motivo di irritare la sua matrigna. Ma ammetto che irritarla può essere divertente».
«Vuole conquistarsi il suo posto».
«E anche oggi è finita in acqua» puntualizzò lui.
«Sa nuotare» dissi, prima di riuscire a trattenermi. Poi sospirai di nuovo. «Ma sono sicura che lei ha presente meglio di me che cosa sa o non sa fare Jayde».
Sephiran mi rivolse una lunga occhiata, che mi guardai bene dal ricambiare.
«La cosa interessante sembra un’altra. Che cosa sai o non sai fare tu. Ammetto che, se mia figlia non avesse scavato, mi sarei bevuto la storiella della Lontra. Fammi un favore…»
Ci siamo… qua è dove mi gioco il lavoro e forse anche la buccia.
«…Fatti dare una tuta con le mie insegne. Non voglio che mentre voi ragazzine siete a giocare nei canali vi metta gli occhi addosso qualche malintenzionato».
Inarcai un sopracciglio, ma non commentai. Quale malintenzionato se la sarebbe presa con due “ragazzine” con degli arpioni in mano? Ma forse il messaggio era un altro ed ero io a non capire.
«Sissignore» dissi.
Lui annuì e mi lasciò sulla banchina.

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Classificazione: 3 su 5.

Senza pace

Chiara lavora per una multinazionale energetica. Viene mandata in Libia a occuparsi degli impianti di estrazione in loco, tra i pericoli di una nazione sempre sull’orlo di una guerra civile e quelli della spietata competizione aziendale interna. È durante il suo periodo in Nord Africa che conosce Yidir, il berbero che gestisce la sicurezza degli italiani per conto dell’autorità petrolifera libica, e tra loro scatta qualcosa. Un’attrazione complicata, che si scontra con due modi diversi di vedere il mondo. Yidir è un uomo inquieto, in fondo legato a un’idea di femminile che per Chiara è inconcepibile, Chiara ha sempre messo la carriera davanti a qualsiasi affetto. Ma tra il calore del deserto e il freddo di Milano, tutto possono fare Chiara e Yidir, tranne provare indifferenza l’uno per l’altra. Tra loro cresce un sentimento che ha il potere di annullare ogni distanza, di far superare ogni difficoltà, ogni incomprensione… ma sarà sufficiente?

«Che cosa c’è?» chiese Yidir.
Chiara scosse la testa ed emise una risatina incredula. «Mi stanno tornando in mente così tanti ricordi… ricordi a cui non pensavo da anni. È strano accorgersi di essersi lasciati alle spalle così tante cose».
Lui piegò leggermente la testa verso di lei. «Sono brutti ricordi?».
«No, sono solo… ricordi che non ricordavo da anni e anni. Sembro matta, giusto?».
«Sembri emozionata».
Era vero e quell’osservazione la confuse. Alzò lo sguardo su quello di lui e sentì qualcosa stringerle lo stomaco. Un sentimento stupido, un senso di mancanza preventivo. Non voglio perderlo, pensò. E poi: che razza di idiozie ti vengono in mente?
Il cuore le batteva a un ritmo forsennato e Yidir non distoglieva lo sguardo. Prima di rendersene conto, Chiara si era alzata sulla punta dei piedi e l’aveva baciato.
Percepì il sospiro di Yidir, più che sentirlo.
Le cinse la vita e se la strinse contro, mentre il bacio diventava più affamato, più carnale. Chiara fece scivolare le mani sulle sue spalle, su quelle braccia ferme e dure, poi sopra il corpetto antiproiettile, giù fino ai fianchi, dove esitarono un attimo.
Si perse nel bacio che si stavano scambiando, le lingue che si accarezzavano in modo sempre più intimo…

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Classificazione: 4 su 5.

Dalla parte di nessuno

La guerra civile infuria quasi da sei anni in Terassia, una minuscola nazione contesa tra l’est e l’ovest del mondo, quando Zeeva Farley arriva a Silvka, una delle principali città del paese. Zeeva è una corrispondente britannica, una giornalista dallo sguardo acuto e dalla mente curiosa. L’attacco su larga scala da parte di una delle fazioni in lotta coglie alla sprovvista lei e il suo operatore, Kostya. Nell’apocalisse dei bombardamenti, vengono tratti in salvo da una milizia di ex-appartenenti alle forze armate, che consente loro anche di documentare la situazione in città. È in questo modo che conoscono Maksym Sewick, il comandante della compagnia di soldati irregolari che sta cercando di proteggere la popolazione civile dagli attacchi dei loro stessi governanti. Il suo lavoro ha insegnato a Zeeva a costruire in fretta rapporti significativi con persone degne di fiducia, e capisce subito che Sewick può essere forse un uomo complicato, ma è una persona degnissima. Quello che non immagina è che conoscerlo cambierà per sempre la sua vita…
Una storia di guerra e di amicizia, di azioni avventate e amore, di coraggio e di follia. E di speranza, una speranza che muove il mondo.

«Ho letto i suoi articoli, signora Farley».
Stava albeggiando e Zeeva non era riuscita a dormire un attimo. Maksym Sewick l’aveva trovata seduta per terra in un angolo, in corridoio, con il laptop aperto sulle cosce.
«Signora Farley sembra il nome di mia nonna. Può chiamarmi Zeeva come tutti».
Il viso di Sewick rivelò un certo disagio, ma finì per annuire, forse decidendo che il livello di informalità con quella sconosciuta non aveva davvero importanza, mentre la città veniva fatta a pezzi da tre diversi eserciti.
«Ho letto i tuoi articoli, Zeeva. Quelli su di noi, ma anche gli altri pezzi che sono comparsi sul giornale per cui scrivi. Sei stata alla tua parola e cerchi di dipingere in modo… equilibrato quello che sta succedendo al mio paese. A volte diventi un po’ melodrammatica, ma… be’».
«Scusi se glielo faccio notare, comandante, ma ci sono dei bombardamenti in corso. Si combatte nelle strade. Ieri notte ho visto l’ospedale di Medici Senza Frontiere bruciare, colpito da un attacco skhidni. Non credo di essere melo-drammatica. La situazione è drammatica, punto. Non trova?».
Sewick la guardò in silenzio per diversi secondi.
Zeeva poteva vedere che era stanco, spossato. Aveva la faccia nera di fuliggine, ma solo sui bordi, come se avesse cercato di ripulirsela con un asciugamano umido o qualcosa del genere. E la sua manica sinistra era scura di sangue ormai rappreso.
«I governativi stanno perdendo terreno. Le loro truppe sul campo sono inadeguate. L’unica cosa che tiene ancora a bada l’avanzata degli insorti sono gli attacchi arei. Attacchi che radono al suolo interi isolati di Silvka in un colpo solo».
«Isolati pieni di persone, lo so. L’ho visto. Stanno bombardando la loro stessa gente».
Sewick annuì. «Come ti dicevo… penso di sapere che tipo sei, Zeeva. Vedi le cose con chiarezza. Vai dritta al punto. In città la situazione non andrà a migliorare».

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Classificazione: 1.5 su 5.

Una gabbia dorata

Tra le Terre dell’Est e quelle dell’Ovest infuria la guerra da quasi due secoli. Quello che un tempo era un unico popolo si è diviso più volte. Da un lato gli elfi bianchi e quelli silvani, e i loro alleati umani; dall’altro gli umani dell’Est e tutte le specie che a Occidente considerano ripugnanti o pericolose: elfi neri, golbin, troll, orchi…
Elli Nakril è la figlia di un anziano del Consiglio dell’Ovest. È un’elfa silvana, una guerriera. Quando viene catturata e portata a Est sa che gli orientali la useranno come merce di scambio. Viene chiusa nella Cittadella della capitale dell’Est, prigioniera del loro odiato regnante: Syryt Thygarest, un mago oscuro, così magico da non sembrare neppure più umano.
Eppure… è proprio quell’uomo terribile a parlarle per la prima volta di pace. Della possibilità di mettere fine alla guerra e agli spargimenti di sangue. Le parla, la convice… la affascina. E la prigionia di Elli diventa piacevole, gli ideali di Syryt sempre più allettanti.
Ma nulla è facile. A ovest sospettano della buona fede dell’Est… e forse hanno ragione. Perché Elli inizia a rendersi conto di essere ancora in prigione, una gabbia dorata di cui è difficile persino scorgere le sbarre.

Thygarest era comparso accanto a me, seduto con le gambe accavallate, i capelli che si confondevano con il colore della notte e un’espressione divertita sul viso.
«Non danzerò» ribadii.
«No?» chiese lui. Scivolò ai miei piedi, inginocchiato come un pretendente, e mi sfilò le scarpe. «Tornerai a casa scalza, quindi» disse, rialzandosi e allontanandosi con le mie scarpe.
«Ridammele!» protestai, inseguendolo.
Lo rincorsi tra la gente che ballava. Thygarest non stava correndo, ma in qualche modo era sempre un paio di passi avanti a me. E io sentii l’erba fresca sotto i piedi e la danza mi travolse senza scampo.
«Dannazione» borbottai.
E iniziai a danzare.
Danzai e piroettai, saltai e svolazzai, lasciandomi invadere dalla primavera. La frenesia del risveglio si impadronì di me e iniziai a cantare la mia magia, risvegliando tutto ciò che avevo intorno. L’erba cresceva, sotto i miei piedi, e gli alberi mettevano nuove foglie, i fiori aprivano le corolle come se fosse l’alba e i rami si muovevano, sgranchendosi.
Il mio canto salì di volume, abbracciando tutto il parco, mentre danzavo e danzavo, completamente infiammata dalla primavera.
Sentii due mani prendermi per la vita, alle mie spalle. Sapevo che solo una persona avrebbe potuto farlo, in quel momento, mentre tutta la mia natura era dispiegata attorno a me. Mi voltai e infatti era Thygarest.
Danzò con me. Fu… stranissimo.
La sua magia si intrecciò alla mia, si fece simile alla mia e anche lui cantò il risveglio. Non so che cosa vide la gente che avevamo attorno. Una coppia che ballava una strana danza fluttuante, forse. Tutto si fece intenso, profumato, sensuale. Il risveglio mi sciolse le gambe e i fianchi, riempiendomi del piacere così particolare della rinascita.
Fu come fare l’amore. Thygarest doveva capirlo e assecondò quell’onda languida.

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Classificazione: 4 su 5.

Il cavaliere del fiume

Kingdom of Nowhere 2

Patrick Dubois è uno sbirro figlio di uno sbirro. Nella vita ha sempre e solo voluto fare il detective nella polizia della sua città, Montreal. Quando si ritrova all’improvviso nel 1413, nella Francia dilaniata dalla Guerra dei Cent’Anni, quindi, non ne è certo felice. Per di più compare in un fiume, dove rischia di affogare. Per fortuna viene soccorso da un tizio vestito come un cosplayer del Signore degli Anelli e… niente, alla fine deve rassegnarsi all’idea di essere stato sbalzato indietro nel tempo. E la Francia medievale è un posto pericoloso, come scopre quasi subito, quando si trova a soccorrere due sorelle la cui carovana è stata assalita da un gruppo di briganti. Le loro strade si separano quasi subito, mentre Patrick finisce per diventare un cavaliere e combattere contro gli inglesi, ma alla sorella maggiore, Rachelle, continua a pensare per un pezzo. Finché, finalmente sistemato e padrone di un fazzoletto di terra, non può tornare a cercarla…

«Ma sul serio credete a quella faccenda del disperdere il seme?».
Lei chiuse gli occhi. Si coprì la faccia con una mano. «Non lo so. Come donna sono un fallimento. Sono stata sposata quattro anni e non sono stata capace di procreare un figlio. Mio marito mi odiava. Perché ne sto parlando a voi?».
«Perché sono un dolcetto ai canditi, così mi ha definito Pierre».
«Dovrei confessarmi» sospirò. «Ho peccato così tanto, dentro di me».
«Sì?».
«Ho pensato… in fondo non è stato peggio del solito, ieri l’altro. E almeno ho potuto lottare. È imperdonabile pensare cose del genere del proprio sposo appena morto, non credete?».
Mi veniva da piangere. Le passai un braccio sopra le spalle e la costrinsi quasi a posarmi la testa sul petto. «Aveva ragione Pierre. Dovevamo lasciarvi in quel mulino».
«Perché dite così, ora?».
Non la mollai. Lei se ne restò contro il mio petto, ma senza rilassarsi. Sempre in guardia.
«Nella mia epoca… come spiegarvi? Pensavo di aver visto di tutto. Omicidi, stupri, rapimenti, rapine, violenze domestiche, criminalità organizzata, attacchi di follia… ma la vostra epoca, la vostra epoca è una scena del crimine a cielo aperto».
«Che cos’è…»
«Shh. Non è niente. E sono contento che vostro marito sia schiattato male. Il pensiero non mi dà nessun senso di colpa».
«Perché…»
«Perché nemmeno dovreste chiederlo, “perché”. Quindi, da brava. Avete avuto dei pensieri realistici, sì. Per un attimo avete dimenticato le balle di un’educazione repressiva. Vi assolvo, pregate pure che quella merda marcisca all’inferno».
Per un attimo Rachelle restò senza parole, credo. Poi rise sottovoce e disse: «Mi sa che avete bevuto troppo».
«È possibile».
La lasciai andare.
«Volevate rivedere la pistola» dissi, tirandola fuori dalla fondina.
Rachelle se la rigirò tra le mani. «È pesante. È come… troppo rifinita e nel contempo rifinita in modo strano». Me la restituì senza neppure accarezzare il grilletto. Non aveva del tutto idea di come funzionasse. «Il vostro racconto è difficile da credere».
«Lo so».
«Ma bisogna ammettere che siete diverso». Si alzò con una smorfia di dolore. «Saranno i canditi».

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Classificazione: 4 su 5.

La danza dei cent’anni

Kingdom of Nowhere 1

Comincia tutto con una grande luce. Audrey Clark, detective della polizia di Montreal, un attimo prima sta inseguendo un sospetto di omicidio e un attimo dopo si trova in un villaggio dall’aspetto antico, medievale. La gente la spinge verso una piazza e qua… un rogo è stato preparato per una ragazza vestita di bianco. Audrey pensa di essere morta, di essere in coma, di avere un’allucinazione; tutto è più credibile della realtà: è nel 1431, in Francia, e a quanto pare la Guerra dei Cent’Anni per lei non è più solo una nozione storica. Il suo involontario compagno di viaggio è Heraut d’Aubert, uomo orgoglioso e permaloso, che però sembra in grado di superare i pregiudizi del suo tempo e fidarsi di una donna…

Non so quanto tempo rimasi accucciata lì, sulla riva del fiume. So solo che a un certo punto qualcuno mi tirò su per le ascelle e mi fece allontanare. Ripresi a sentire: i miei stessi singhiozzi, le mie stesse parole smozzicate.
Heraut mi abbracciò. Indossava la coperta come una specie di peplo romano.
«Madame Audrey… che cosa vi succede, all’improvviso? Perché l’anno in cui siamo vi addolora così tanto?».
Tirai su con il naso. «Non mi credereste».
«Mettetemi alla prova».
Lo guardai. Mi accigliai. «Dovevate restare fermo. Siete ferito».
«Bene, non l’ho fatto. Ora ditemi che cosa vi turba così tanto. Vi crederò».
«Sono nata nel 1985. Ieri mattina mi sono svegliata nel mio presente, il 2018. Poi c’è stata una luce bianca fortissima… mi sono trovata qua».
Heraut non si mise a ridere.
Come avrei scoperto in seguito, era il genere di persona che capisce in fretta le cose e che prende in fretta le sue decisioni, se necessario, ma sempre concedendosi un attimo per ponderare a mente fredda.
Mi fissò per quasi un minuto, pensieroso. Toccò la stoffa del mio giaccone, su una manica. Fece scorrere un dito lungo la cerniera, mosse il tiretto su e giù. Non appena ne comprese il meccanismo, mi aprì la giacca. Osservò le tasche interne, la fondina ascellare, il maglioncino aderente che avevo sotto. Ne toccò il filato, in basso, vicino a uno dei miei fianchi. Studiò i miei jeans elasticizzati senza toccarli, poi i miei stivali.
«Le vie del Signore sono misteriose, sapete. Sì, vi credo. Comunque non penso che sia impossibile».

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Classificazione: 3 su 5.

Le terre ardenti

Una Grande Onda ha sommerso l’umanità, uccidendo nove decimi della popolazione mondiale e lasciandosi dietro poche comunità isolate che fanno quel che possono per sopravvivere in un ambiente ostile. Lara sta cercando rottami riutilizzabili nel grande “cimitero delle macchine” a pochi chilometri dal suo insediamento, quando scorge un pericolo imminente. Sulla Tavola Ardente infuria una tempesta di sabbia, ma lei deve tornare indietro comunque, per avvisare la sua gente. È Skylar che la salva dalla morte, avvistandola dalla cima dell’altoforno in cui vive. Nel loro insediamento lo chiamano l’Eremita perché esce raramente e passa il tempo a progettare nuovi sistemi per coltivare la loro terra arida e proteggere la loro baraccopoli dai razziatori. Come molti dei sopravvissuti all’Onda, anche lui è ferito nel corpo e nell’anima, ma non si è ancora arreso. Forse è questo ad attirare Lara sempre di più, nonostante abbia già un compagno. È l’inizio di un’avventura pericolosa che porterà Lara e Skylar a superare i confini del loro mondo, verso una difficile rinascita…

Sentirono i passi del razziatore che si allontanavano.
Nel loro angusto nascondiglio, Skylar le accarezzò la testa. Le strofinò la guancia su una guancia e Lara sentì che era bagnata. Solo dopo un attimo si rese conto che le lacrime erano le proprie.
«Shh… shh…» sussurrò lui. «Aspettiamo che tornino indietro, prima di uscire».
Lara annuì. La sua presa sul torace di lui si allentò un po’. I suoi muscoli si rilassarono leggermente. Erano stretti l’uno all’altra, le gambe intrecciate, le guance a contatto. Lara dubitava di essere mai stata così appiccicata a un altro essere umano. Neanche quando faceva l’amore aderiva in quel modo al corpo dell’altro. Be’, di Arvid, per lo più. Non era una che accendesse un granché le fantasie maschili, quindi negli ultimi tempi Arvid era stato l’unico volontario.
«Non ti preoccupare. Al ritorno saranno ancora meno attenti» mormorò Skylar, nel suo orecchio.
«Sì» sospirò lei. Nient’altro.
Fino a pochi minuti prima la paura la paralizzava, ma ora iniziava a percepire di nuovo il mondo. Il corpo di lui stretto al proprio, il suo odore, il suo respiro… forse avrebbe dovuto allontanarsi un po’, ma non voleva farlo. La sua pancia dura era così gradevole, sulla propria. La sensazione dei piccoli seni che premevano sul suo petto…
Ma che cacchio vai a pensare? Fino a tre secondi fa stavi per fartela addosso e ora vorresti strusciarti tutta?
Skylar continuava ad accarezzarle un fianco, tranquillizzante, e Lara chiuse gli occhi e si abbandonò alla sensazione. Le sue dita sopra la stoffa della casacca… poi sotto, sulla pelle morbida della vita… carezze leggere, impalpabili…
Dio, si rendeva conto che la stava attizzando a morte?
Le sue dita continuavano a toccarla… accarezzarla… lisciarla… senza mai allontanarsi dal suo fianco, senza salire verso i seni o scendere… Dio, come avrebbe voluto che scendessero…

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Classificazione: 3.5 su 5.

Il nemico

Da quattro anni la Namdvara è sotto il giogo degli invasori di Dhenes. La conquista delle placide vallate namdvariane è stata brutale e i nemici non hanno risparmiato efferatezze e violenze. Quando uno degli invasori, durante una tempesta, entra in una locanda e trascina con sé in una camera una viaggiatrice, Radina, tutti pensano al peggio… ma nessuno fa nulla per difenderla. In realtà Alek, il nemico che l’ha obbligata a seguirlo, è solo ferito. A gesti le fa capire di aver bisogno del suo aiuto e Radina non riesce a rifiutarsi curarlo. Il corpo di Alek, snello e muscoloso come quello di un cane da caccia, la riempie di turbamento. Il giorno dopo ognuno se ne va per la sua strada, ma il gruppo di viandanti con cui viaggia Radina viene assalito da dei banditi. Nel frattempo nelle pacifiche valli di montagna è scoppiata la ribellione e gli invasori vengono cacciati. Alek dovrebbe combattere con i suoi uomini, ma si trova di nuovo davanti la ragazza dagli occhi gentili che l’ha aiutato nonostante fosse il nemico… e ora è lei ad aver bisogno di aiuto…

«Aspetta» le disse.
La sorresse per il braccio sano e la aiutò a sedersi.
Andò a prendere i vestiti che si era procurato per lei. L’aria del mattino era ancora fredda, così Radina non si liberò del tutto della coperta, mentre lui la aiutava a indossarli. Quel vedere-e-non-vedere del suo corpo bianco e sodo fece affluire con prepotenza il sangue all’inguine di Alek, come in precedenza non gli era mai successo, neppure quando l’aveva vista completamente nuda.
Continuò a comportarsi come se nulla fosse, sperando che lei non se ne accorgesse.
Radina, da parte sua, fece ben attenzione a non dimostrare di averlo notato, ma le tornò in mente l’immagine del corpo bruno di lui e l’idea, con suo vago sconcerto, la riempì di languore.
Quando lei fu vestita, Alek la accompagnò fino all’asino. Radina immaginò che si fosse liberato del cavallo perché lo identificava subito come soldato nemico. Per lo stesso motivo, notò, Alek aveva arrotolato strettamente il proprio mantello di pelle e ne aveva indossato un altro di tela grigia.
Radina lo tirò per un gomito e lui si voltò dalla sua parte.
«Cosa?» domandò, spazientito.
Lei posò la mano sul pomo della spada di lui.
Alek chiuse gli occhi. «Ah, dannazione».
Radina gli slacciò il cinturone. Aveva ragione lei, ovviamente, la spada l’avrebbe tradito. Ma in quel momento sentire le sue mani sulla fibbia gli procurò una seconda fitta di desiderio, dolorosa e improvvisa. Non riaprì gli occhi. Aspettò solo che lei finisse.

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