La notte si porta via tutto

Lui, una celebrity le cui sregolatezze tengono banco sui giornali scandalistici.
Lei, una chirurga ortopedica di origini somale.
Un paese fantasma, una storia improbabile e intensa, un atto di generosità che non passa impunito.

Quando riceve una richiesta di intervento in un paese fantasma dell’Alto Piemonte, l’ultima cosa che Jamilah si aspetterebbe di trovare è una celebrity con una gamba incastrata tra le assi di un pavimento cadente. E invece l’uomo in difficoltà è proprio Marco Santacroce, il figlio ormai trentottenne della star del rock Vittorio Santacroce. Il celebre cantante è morto dieci anni prima, ma le sregolatezze del figlio tengono ancora banco sui giornali scandalistici. Jamilah è una chirurga ortopedica, lontanissima dal mondo dello spettacolo e da qualsiasi frivolezza. Italiana di origini somale, ha lavorato nei paesi più poveri del mondo e solo da poco è tornata a vivere nel suo paesello di montagna, tra gli amici del liceo e tra la diffidenza di chi fatica a fidarsi di una dottoressa nera. Lei e Marco non hanno nulla in comune, almeno all’apparenza. Certo, lui è bello, ed è anche diverso da come lo dipingono i siti di gossip. È un po’ più vero e disperato dell’immagine che rimanda il web. Jamilah dovrà provare sulla sua pelle che cosa significhi finire alla gogna mediatica per capirlo davvero. E Marco dovrà cercare di allontanarsi dal passato per cominciare a vivere.

Le porte si aprivano con una tessera magnetica. Santacroce fece scattare la serratura della stanza numero 306 ed entrò. Tutte le luci si accesero al loro ingresso, deboli e gialle.
«Non è il massimo della vita» commentò Jamilah, osservando le pareti beige e la moquette marrone.
«Ma no, è okay. Senti, volevo chiederti una cosa». A quel punto si interruppe. Lì, in piedi in quella stanza troppo beige, con la porta ancora aperta, nella luce flebile e itterica delle applique di vetro satinato, riflesso dallo specchio sopra la scrivania. In un film quella pausa sarebbe sembrata carica di significati, ma nella realtà fu solo un po’ strana.
«Cioè, pensavo» riprese a parlare Santacroce. «Avrai dei piani per la serata».
Sembrava un trabocchetto. Non un trabocchetto volontario, magari, ma il genere di affermazione che ti spinge a dare risposte avventate di cui subito dopo ti pentirai. Risposte tipo: “Non ho nessun piano, ecco la mia vagina, facci quello che vuoi”.
Jamilah si limitò a un cautissimo: «In che senso?»
«Nel senso… stavi tornando a casa. Avrai cose da fare. In caso contrario…» Si interruppe di nuovo, gonfiò le guance ed espirò. «Sono un po’ scosso, per così dire. Ero un po’ scosso anche in partenza, per me non è un gran periodo. Se non hai niente di urgente da fare potresti soccorrermi anche emotivamente e cenare con me. Finché non ho smesso di tremare, diciamo».
Lei sbatté le palpebre. «Stai tremando?»
«Pensavo che si vedesse. Ora mi pento un po’ di averlo ammesso».
Jamilah emise una risata leggera. «Per fortuna c’è la confidenzialità medico-paziente. Potremmo ordinare da qualche parte. Non mi sembri in grado di andare a mangiare fuori».
«Già».
«Comunque a casa mi aspettava una pizza surgelata».
«Oh. Pensavo che voi medici aveste una vita sociale brillante».
«Non so come ti sia fatto una simile idea».
Santacroce ci pensò per qualche secondo. «Nip/Tuck, credo».
Jamilah sospirò e scosse la testa. «Lo dico sempre anch’io che avrei dovuto scegliere chirurgia estetica».

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Classificazione: 3.5 su 5.

Ex

Ava e Conrad sono divorziati da dieci anni. Nel frattempo lei è diventata un’attrice famosa, mentre lui era già un manager di successo. Ed è stato un brutto divorzio, il loro, pieno di recriminazioni, dolore e sgradevoli strascichi legali. Ma ora lei è finita sui giornali scandalistici con una foto che la mette in pessima luce, l’intero paese la odia e Ava ha scoperto che i suoi amici fanno schifo. L’unico a cui può chiedere una mano è Conrad – e lui, per quanto controvoglia, l’aiuta. Poi tutto sembra cospirare perché passino del tempo insieme in un modo nuovo, da amici, e perché riescano a chiarire i malintesi del passato. Ma le persone con il tempo cambiano davvero? O Ava e Conrad sono destinati a ripercorrere un sentiero già tracciato?

«Sai qual è la cosa che detesto di più?» sospirò Conrad, a un certo punto, quando il film era ormai verso la fine.
Emisi un vago mugolio che significava “no, ti prego, no”, ma Cord continuò a parlare.
«Lui è un raider. Quale raider del cazzo si comporterebbe così?».
Aggrottai la fronte. «Che cos’è un raider?».
«Cristo, Ava, lo spiega lui stesso all’inizio del film. Ma li ascolti, i dialoghi che sai a memoria?».
«Mmm… boh. Compra compagnie e poi le vende a pezzi».
«Eh. Si chiamano corporate raider. Lui è uno “smembratore”, come Kerkorian con la MGM».
«Chi?».
Conrad sospirò. «Come Gordon Gekko. Lui lo conosci, sì?».
«Mh-mh. Il protagonista di Wall Street di Oliver Stone».
«Non so di cosa mi stupisco. Kerkorian è stato uno degli uomini d’affari più influenti del nostro tempo, ma la gente conosce Gordon Gekko».
«Va be’, e quindi?».
«Quindi, il tuo adorato Edward, lì, è un avvoltoio. Un imprenditore specializzato nello smembrare società in crisi».
«Ma poi si pente» dissi, con un sorriso.
Lui mi rivolse uno sguardo disgustato. «Non ha senso. O l’azienda che vuole comprare si trova in una crisi strutturale – e allora non c’è altro da fare che tagliarla a pezzi e rivenderla – oppure è in una crisi congiunturale, e allora smembrarla è da imbecilli, perché ristrutturarla è molto più redditizio».
Aggrottai la fronte, colta da un pensiero improvviso. «Scusa, tu sei un raider?».
Lui alzò gli occhi al cielo. «All’occorrenza. Ma per lo più mi occupo di società sane e con ampi margini di crescita, grazie tante».
«Oh, wow. Non ho mai saputo di essere stata sposata con Gordon Gekko».

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Classificazione: 3 su 5.

Il fuorigioco spiegato alle ragazze

Lenny Pirie è una scrittrice impegnata, una giornalista, un’intellettuale. Non ha mai visto una partita di calcio in vita sua e non le interessa fare l’esperienza. Ma per il suo nuovo libro sulle icone inglesi dei tempi moderni deve intervistare il popolarissimo attaccante del Chelsea Byron Kelsey, detto “The Corsair”. Byron parla un inglese quasi incomprensibile alle sue orecchie, segue un regime dietetico folle e si allena un numero spaventoso di ore al giorno. Per il britannico medio rappresenta la perfezione fisica, un mito, un eroe. Per Lenny rappresenta l’incarnazione di una società malata di apparenze.
Ma Byron non è solo uno sportivo viziato e ha delle profondità, e delle asperità, inaspettate. E, cosa ancora più inaspettata, non sembra insensibile al fascino tutto cerebrale di Lenny…

Lenny chiuse la chiamata e si andò a sedere accanto a lui sul divanetto di rattan, davanti la vista mozzafiato che si godeva dal suo balcone.
«Wow, che panorama, eh?».
«Vero? Hai organizzato tutto?».
Lei annuì. «Certo, se me l’avessi detto prima avrei potuto attrezzarmi».
«Depilarti».
«Oddio, non credo che sarei arrivata a tanto».
Byron rise. Aveva un bel modo di ridere, pensò Lenny, risate basse e vibranti.
«Non mi prendi proprio sul serio, è inutile».
«Ti prendo sul serissimo. Ma, insomma, depilarmi non servirebbe a niente, con tutte le cose che ho da fare. Ho guardato delle partite. Sul serio, dall’inizio alla fine, compresa la telecronaca. E ho letto interviste. Migliaia di pagine di gossip. Giornali sportivi, di cui ho capito ben poco. Di questo passo, un giorno mi sveglierò e scoprirò di sapere che cos’è il fuorigioco».
Lui rise ancora. «Mi fai impazzire. È semplice».
«La fisica quantistica è semplice. Il fuorigioco è un luogo comune che non mi interessa scalfire».
«Ho pensato» disse lui, tornando serio. «Oggi parleremo della fama, no? Abbiamo parlato del calcio, abbiamo parlato della fatica… resta la fama. Quindi ti porto a una festa».
«Sei diabolico».
«E noi possiamo usare le due ore dell’intervista per volare alto. Visto che la fama, sai, come argomento non è molto alto».
Lenny lo guardò con autentica ammirazione. Quel tizio lì. Quel tizio che per vivere tirava calci a una palla, posava sui manifesti della Nike e rappresentava i sogni di mezza nazione. Uno che non pronunciava nemmeno i “the” tutti interi.

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Classificazione: 4 su 5.

Come domare un principe

Polly viene da una famiglia disastrata e sa da sempre qual è il suo obiettivo nella vita: trovare un uomo ricco, anzi ricchissimo, e sistemarsi a sue spese. Il primo step del suo programma è vendersi in internet al miglior offerente. Potrebbe infilarsi in guai seri e trovare un sadico, un maniaco o un serial killer, ma l’uomo che compra la sua verginità è solo un principe. Non un principe azzurro, questo è chiaro, un principe saudita. Un misogino, maschilista, dispotico, possessivo, insensibile, miliardario arabo, con tre mogli nel paese natio e uno stuolo di amanti in mezzo mondo, uno per cui Polly è un’infedele, e dunque due volte inferiore. Ma è bella, così bella, e Rashid finisce per offrirle un contratto in esclusiva con lui. Senza immaginare che quella “donna immorale” potrebbe mettere in discussione il suo punto di vista, la sua vita e il suo mondo.

Quello è Rashid bin Muhammad al-Kabir? C’è qualcosa di sbagliato. Oh, c’è qualcosa di totalmente sbagliato, per forza. In realtà vuole affettarmi. Farmi male in qualche modo. Quel tizio lì non può aver pagato per la mia vagina.
È seduto in poltrona, le gambe accavallate. Pantaloni scuri, una camicia bianca dalle maniche rimboccate, aperta su un torace… perfetto. È perfetta tutta la confezione, non ci sono altre parole. Il viso dai tratti aquilini può piacere o non piacere, presumo, ma lo definirei comunque attraente. Ha un pizzetto nero, folto, ma non è troppo peloso. Anche gli occhi sono neri, neri e divertiti. I capelli gli ricadono in riccioli scuri attorno al viso. Dubito che sembrerebbe buffo anche con la tovaglietta in testa e la camicia da notte addosso. Ora è scalzo e… uhm, si sta alzando. È alto e snello. In forma. Si è dato da fare in palestra e si vede. Ha nove anni più di me, ma sembrano meno. Nel contempo, sembrano anche di più, quando mi guarda con quell’espressione quasi ironica.
«Mary Harvey» dice. «Non hai un diminutivo, qualcosa di più giocoso?».
«Uhm… Polly».
«Polly. Come si arriva da Mary Harvey a Polly, solo per curiosità?».
Emetto una risatina nervosa. Sta cercando di mettermi a mio agio? Non ci sta riuscendo.
«Da Mary, presumo. Mary, Molly, Polly. È così che funziona in… uhm».
«In inglese, chiaro. Tutto funziona sempre in modo illogico, in inglese. Bene, Polly». Se lo rigira in bocca e ho l’impressione che mi prenda in giro.
Si avvicina ancora. Io resto ferma. Dio, come non voglio essere qua. Ma ormai ci sono e non so come comportarmi. Il panico mi cresce dentro sempre di più e decido di confessare. Che altro posso fare? È chiaro che non voleva me. Voleva qualcosa di diverso. Di meglio, almeno ai suoi occhi.
«Non… non so cosa fare» dico. «Mi dispiace».
«Perché, che cosa devi fare? Niente, cedere. Sii donna, la parte passiva. A tutto il resto penso io».
È rassicurante, in un certo senso. In un altro non è giusto, se capite il mio punto. Dovrei comunque avere voce in capitolo, no? Ma forse no, alla fin fine. Gli ho venduto il mio corpo, lui l’ha comprato. Che voce in capitolo dovrei avere?
Ora è vicinissimo. Mi solleva il mento con due dita, mi scruta con quegli occhi neri come ossidiana. «Hai paura?».
«N-no».
«Non devi averne. Come ti ho già detto, penso a tutto io. Togliamo questo affare».

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Classificazione: 4.5 su 5.

La sopravvissuta

C’è un trauma, nel passato di Helen Spiro: i sei giorni in cui è stata prigioniera su una piattaforma petrolifera, sequestrata insieme al resto del personale da un gruppo di estremisti. Oltre a quel trauma c’è anche un incubo: il modo in cui la stampa scandalistica ha spolpato la sua vita quando è finalmente scesa a terra. Per sopravvivere ha dovuto scrivere un libro con la sua versione dei fatti e mettersi completamente a nudo.
C’è un divorzio, nel passato recente di Francis Trent, amministratore delegato di un gruppo energetico. Un divorzio mediatico e doloroso, che lo sta privando del suo bene più prezioso: la riservatezza. E anche nel suo passato c’è il sequestro di Helen… di tutti i lavoratori della piattaforma, quando lui lavorava per il governo e la sua carriera era appena agli inizi.
Ora le loro storie si sono appena incrociate. Nessuno dei due vorrebbe affrontare il passato dell’altro, ma forse non avranno altra scelta…

Lui le aprì la porta del bagno.
Era strano essere lì, nella sua stanza, da sola con lui. Come se all’improvviso fosse tutto troppo intimo. Ma era anche un’intimità molto piacevole.
Helen posò la giacca accanto alla borsa, accese la luce del bagno e iniziò a slacciarsi la camicia. Lo fece dandogli le spalle, ma senza chiuderlo fuori. Inoltre… davanti a lei, a qualche metro di distanza, c’era lo specchio del lavandino.
«Sono tutte bagnate e appiccicose, vero?» le chiese Trent.
«Già».
Lei finì di slacciarsi la camicia e se la sfilò, restando con il reggiseno di pizzo bianco e la gonna a vita alta dritta, sotto al ginocchio.
Staccò il phon dal suo supporto e iniziò a usarlo per asciugare la macchia bagnata.
Lui si grattò la nuca, evidentemente combattuto.
Alla fine disse: «Dai qua, lo lavo».
Le andò alle spalle e le sganciò il reggiseno. Glielo sfilò con gesti gentili, un po’ impacciati. Le sfiorò la parte inferiore dei seni, che erano davvero umidicci e un po’ appiccicosi.
«Sì, devi lavare anche queste» considerò, con un lieve sorriso.
Si scostò. Aprì il rubinetto, ma aspettò ancora un attimo prima di mettere il reggiseno sotto il getto dell’acqua. Invece se lo portò alle narici e aspirò, chiudendo gli occhi.
«È un po’ l’odore di tutto quello che mi piace nel mondo» disse. «Un profumo floreale, il sudore di una donna e il whisky. Che bouquet perfetto».

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Desideri proibiti

Quando Grace e Kyros si incontrano Kyros sta cercando di evitare i giornalisti. È imputato per omicidio in un processo che si trascina da un anno e mezzo e la stampa gli sta con il fiato sul collo. In quanto a Grace, è una ex-modella diventata fotografa, che mai avrebbe pensato di trovarsi ad avere a che fare con un personaggio equivoco come lui. Ma l’attrazione è immediata e dirompente. E Grace si rende presto conto che Kyros è l’unico uomo che abbia mai incontrato in grado di soddisfare i suoi desideri proibiti…

La biondina rise e gli strizzò una chiappa. «Andiamo, ho le tette tutte bagnate».
La sua frase shock confuse i fotografi abbastanza a lungo perché riuscissero a superarli e andare verso la berlina nera che si stava accostando al marciapiede proprio in quel momento. Kyros si sciolse dall’abbraccio e aprì galantemente la portiera alla sua complice improvvisata. Mentre lei entrava notò che aveva uno stacco di gambe del tutto rispettabile, anche se terminavano in un paio di anfibi di vernice un po’ troppo vistosi per i suoi gusti. Ma sulla carne in quanto tale non aveva proprio niente da dire. Quella Grace aveva una gran bella figura, snella e soda. Scivolò a sedere accanto a lei e chiuse la portiera.
«Tra l’altro è anche vero» disse, battendo sul vetro divisorio per indicare a Jim che poteva partire, «hai le tette tutte bagnate».
Si voltò per guardarle alla fioca luce interna dell’abitacolo. Tette piccole e sode, niente reggiseno, capezzoli duri per il freddo o per chissà quale motivo al di sotto della stoffa elasticizzata del vestito. La pelle chiara di Grace era lucida di alcool dove si era versato il cocktail, il vestito aveva una macchia fradicia al centro.
«Già. Ce l’hai un fazzoletto?».
Kyros le allungò quello che aveva nel taschino. La biondina lo usò per asciugarsi e nel farlo gli mostrò praticamente tutta la mercanzia.
Kyros tirò fuori dal portafogli duecento dollari e li posò sul sedile accanto a lei. «Ogni promessa è debito, Grace Willis. Posso lasciarti qualche isolato più in là oppure portarti a casa con me. Ma non se devo pagare anche per quello».
Lei rise. «Guarda che sono una fotografa, non una escort». Ma non sembrava offesa. Ora che Kyros ci faceva caso, invece, sembrava parecchio sbronza. «Facciamo una cosa: mentre andiamo a casa tua mi baci là sotto. Se mi convinci entro con te».
Anche Kyros rise – e quasi strozzò. «Scusa, forse non ho capito. Vuoi che ti …? Ora? Nella cazzo di macchina?».
«Mh» fece lei.
«Quanto accidenti hai bevuto?».
Lei rise di nuovo. «No, sono proprio così. Allora?».
«Che cazzo» concluse lui, stringendosi nelle spalle.

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Solo un gioco

Hally Degermark è una giovane sceneggiatrice televisiva la cui prima serie sta per andare in onda. David Ormond è un produttore importante, il cui divorzio dall’attrice Ellen Jacobs è finito su tutti i tabloid. I due si incontrano per caso, restando chiusi nel corridoio di un hotel durante una convention, e tra loro scatta immediatamente l’attrazione. Nessuno dei due vuole una storia seria: Hally sta ancora pensando all’uomo che le ha spezzato il cuore, David non ha nessuna intenzione di impegnarsi con una ragazza tanto più giovane di lui. È chiarissimo che sono troppo diversi e che tra loro sarà solo un gioco, ma a volte i giochi si fanno seri…

Per un attimo, fu uno di quegli strani momenti. Ormond mi guardava e io guardavo lui, in silenzio. Il cuore mi martellava nel petto e mi resi conto con notevole sconcerto di essere semplicemente eccitatissima. A livello fisico, intendo. Avevo i capezzoli duri e mi sentivo le mutande bagnate. Era assurdo e devastante, ma riflettendoci mi resi conto anche di un’altra cosa: era cominciato prima. Mentre eravamo bloccati tra due porte antincendio, mentre provavamo a fare conversazione… avevo iniziato lì a trovarlo sexy da morire. Il modo in cui parlava e si muoveva, il modo in cui mi guardava, con gli occhi chiari e un po’ sornioni. Il suo odore, o meglio, il lievissimo odore della sua colonia. Mi chiesi se mi ero ridotta così perché era un uomo potente o solo perché, dopo Mike, mi bastava che qualcuno sembrasse trovarmi interessante. Che fosse per il primo o per il secondo motivo, non mi piaceva. Non volevo essere una che si bagna per il potere o semplicemente per un po’ di attenzione.

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Nel vortice

Quando una sua vecchia amica trascina Amanda Keel al concerto londinese dei Serial Vortex Amanda la segue senza entusiasmo. Il gruppo sembra uno dei soliti gruppi rock: cinque ragazzi texani, bellissimi (a parte il batterista) e pieni di sé. Quando la sua amica si intrufola nel backstage e riesce a farsi notare dal chitarrista, Amanda resta in corridoio a farle da palo. Ed è in quel corridoio che conosce Dorian Gray, il cantante del gruppo, la sua malinconia e la sua ironia. Amanda e la sua amica seguiranno i Vortex sul tour bus che li sta portando a Newcastle in due giorni di puro rock. Sembra che tutto finisca lì: Dorian torna negli States, destinato a diventare una rockstar, e Amanda continua la sua vita, ma… ormai è caduta nel vortice, anche se non ne è consapevole.

«Posso baciarti?» chiese, di punto in bianco.
Mi misi a ridere. «Da dov’è che vieni, tu?».
Lui sbuffò. «Abilene, Texas. Dalle mie parti lo chiediamo, prima di farlo».
Subito dopo, però, dimostrò che stava mentendo. Si sporse verso di me, sopra alle nostre mani intrecciate e mi trovai le sue labbra sulla bocca. Labbra morbide e un po’ secche. Un’ombra di barba sul mento, pungente.
Ora, forse l’ho già detto, ma era bello da far schifo. Era gentile e tranquillo e in fondo l’idea di farci un giro non mi dispiaceva in modo particolare. Risposi al suo bacio, rendendolo un po’ più profondo. Gli appoggiai una mano sul fianco, sotto alle lenzuola, e ci ritrovammo l’uno contro l’altra.Continuammo a limonare per un pezzo, in quella cuccetta, sul tour bus, limitandoci a stare appiccicati e a sfiorarci al di sopra delle rispettive t-shirt.
«Quindi alla fine è vera, quella cosa delle groupie» sorrisi, in un momento di pausa.
Lui mi baciò di nuovo. «Come groupie non sei un granché. Non sapevi nemmeno chi fossimo, prima di stasera».
«Hai capito» dissi.
La sua mano, sul mio fianco, iniziò a tirarmi lentamente su la maglietta.
«Volendo, sì. Più che altro il nostro campione è Dave, ma non dirò di essermi sempre tirato indietro».
Ero eccitata, ma non ero completamente sveglia, se capite quello che intendo. Era un po’ come un sogno molto realistico, anche se sapevo che non stavo sognando. Forse era solo così naturale che non sembrava per niente strano essere lì, sopra quel tizio che conoscevo a stento, e sapere benissimo che stavo per farci del sesso.

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La luce di New York

Evan McAllister è un pittrice in via di affermazione. Si è appena trasferita a New York quando incontra Ander Ross, che assomiglia al soggetto di un quadro che lei ama molto. Ander, però, è anche il dirigente di una grossa banca d’affari, un uomo influente e una persona per cui, normalmente, Evan non avrebbe nessuna simpatia. È tutto quello che lei non è: pratico e talvolta sprezzante, superficiale, tradizionalista… ma c’è qualcosa di più in lui, qualcosa che Evan non riesce a ignorare.

Posò il telefono sul comodino e si voltò verso di me. «Scusa» disse.
Eravamo ancora parzialmente intrecciati. Lo guardai senza alzare la testa dal cuscino. «Di niente».
«Dio, ne ho le palle così piene…» sbuffò. Si chinò su uno dei miei seni e mi succhiò un capezzolo. «Ma tu sei bellissima, è chiaro. Che botta di culo… come ho fatto a finire a letto con te?».
Gli infilai le mani tra i capelli. Erano un po’ ispidi esattamente come sembravano a vederli. «Avevo voglia di scopare con qualcuno. Era una vita che non lo facevo. È stato pure un po’ strano».
Mi posò una mano su una tetta e strinse delicatamente. «Mh, sì. Anche per me. È come se mi fossi dimenticato un po’ di cose. Senti… ora avrei voglia di leccartela».
Risi, accarezzandogli la schiena. «Potrei ricambiare» dissi.
Ander infilò la testa sotto alle lenzuola e scese verso il basso. Mi ritrovai con il suo uccello a due centimetri dal naso e ne approfittai per dargli un’occhiata. Era decisamente a posto, per quanto mi riguardava.

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Strumenti di piacere

Quando Athena conosce North McLeod, elusivo virtuoso del violino, non sa che diventerà il suo strumento di piacere.

McLeod la afferrò per la nuca con mano ferma ma gentile. La condusse verso un’altra porta, quasi invisibile sulla parete e la spinse su per una stretta rampa di scale.
«Sfilati quel vestito» le disse.
Athena, senza smettere di salire, se lo fece scivolare su per la schiena, fin sopra la testa, poi lo lasciò cadere.
La sua pelle, sudata per il gran caldo della sala, riluceva all’illuminazione incerta delle lampade.
«Togliti tutto» disse ancora McLeod. Sembrava tranquillo, la mano asciutta appoggiata sulla sua nuca, il passo calmo.
Athena si fermò per sfilarsi gli slip, Li lasciò cadere sul pavimento.
«Sciogliti i capelli».
Athena si sciolse i capelli, che le ricaddero, pesanti, sulla schiena sudata.
La mano di McLeod scivolò dalla sua nuca alla sua schiena, e la sospinse dolcemente verso l’ennesima porta. Le si posò su una natica, e lì rimase.

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