Ayden Brillat-Savarin è l’amministratore delegato di un grande gruppo industriale. È appena stato assoluto da un’accusa di molestie, ma in passato si è macchiato di altre scorrettezze. La sua compagnia, per non correre rischi, gli rifila una mentore: una professionista che gli insegnerà a sopravvivere alle insidie del mondo moderno, dal modo in cui comportarsi con le dipendenti, alle cautele da usare con le minoranze, fino al necessario linguaggio politicamente corretto. Ayden sarebbe molto seccato, se ms. Allegra Foxton, la mentore, non fosse ironica, sveglia e piuttosto carina. In fondo assecondarla non gli costa nulla. Non sa che presto si troverà messo a nudo e la sua vita non sarà più la stessa.
La porta si richiuse alle sue spalle e l’ufficio sembrò sprofondare nel silenzio. Era una sensazione che Ayden amava molto. Era stato lui stesso a far insonorizzare l’ambiente, in modo da non essere disturbato dal continuo suono dei telefoni e delle conversazioni fuori dal suo sancta sanctorum. Oltre a essere insonorizzato, il suo ufficio era ampio, con una vetrata su un panorama mozzafiato di Canary Wharf, la moquette di un particolare viola che tendeva al grigio, un tavolo di vetro e acciaio, una scrivania abbinata, il divano di pelle naturale e le poltroncine in tinta. Di design. Riservato. Sottotono in modo elegantissimo. «In casi come questo la porta non dovrebbe sempre restare aperta?» considerò Ayden, con un sorriso bonario. «Spero che, per quanto lei detesti la situazione, non arriverà a uccidermi e a nascondere il mio cadavere in bagno».
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Svetlands, una nazione immaginaria, ma molto simile a un qualsiasi paese occidentale evoluto. In questa raccolta trovano spazio le prime cinque novelle della serie, le storie di cinque cancellieri e delle loro relazioni. Relazioni talvolta scandalose, sotto gli occhi dell’opinione pubblica, in cui non c’è spazio per il romanticismo e la politica chiede il suo tributo. In queste cinque storie Miss Black esplora ciò che si annida nel cuore di una nazione e di chi la governa: un mondo gretto e carnale, attraversato da improbabili sfumature di sensibilità. Contiene edizioni rivedute e corrette di: 1. Il cancelliere e la ballerina 2. Dovere di cronaca 3. La candidata 4. Al servizio della nazione 5. Liaison secrète
NB: anche tutte le edizioni singole sono state rivedute e corrette (su tutte le piattaforme)!
Quest’anno Miss Black festeggia dieci anni di attività!
Tra le varie iniziative che si succederanno durante il 2023, mi fa piacere presentarvi il nuovo shop con i gadget tratti dalle copertine e dalle grafiche dei libri. Ho scelto il sito che le produce, RedBubble, per la buona qualità dei prodotti e delle stampe. Spero che si rivelerà all’altezza! I gadget sono creati all’acquisto, ossia non esistono finché qualcuno non li compra. Alcuni hanno dei prezzi davvero esagerati, e di questo mi dispiace (non comprateli), ma la maggior parte è nella media dei prodotti di quel tipo.
Per ogni design ho progettato diversi gadget. Di quasi tutte le copertine sono disponibili le stampe, le cartoline/segnalibro, i quaderni a spirale, i cuscini, le borsine di tela e le borse-sacco. Qualcuno ha dei prodotti più insoliti, come il tappetino per il mouse. Le grafiche del logo hanno meno opzioni, perché chi vorrebbe appendersi in salotto un grosso poster con un logo?
Inutile dire che i gadget sono solo un piccolo diversivo per il decimo anniversario, il mio principale interesse restano i libri! Anche perché vi assicuro che i margini di guadagno sono quasi inesistenti e ci guadagnano solo i produttori degli oggetti. Nonostante questo, spero che l’idea vi piacerà e che qualcuno sarà felice di poter andare a fare la spesa con una borsina di Miss Black. Nei prodotti creati dalle copertine ho appositamente deciso di non mettere il logo, appunto per renderli usabili nella vita di tutti i giorni.
Nei prossimi mesi è probabile che si aggiungano nuove grafiche. Cliccando sull’immagine di un determinato prodotto nella pagina GADGET potrete visualizzare tutti i prodotti con quella stessa illustrazione. Buon divertimento!
Brielle e Frank si sono incontrati in un club per scambisti. L’idea è stata del ragazzo di Brielle, ma i risultati poi non gli sono piaciuti. In quanto a Brielle, lei non voleva neppure andarci. Con l’uomo che le è capitato si è trovata bene, Frank è un bel tipo ed è bravo a letto, ma non sentiva il bisogno di sperimentare. Ormai, però, ha sperimentato. Il suo ragazzo si è infuriato e l’ha mollata nel mezzo del nulla, andandosene. Frank le ha dato uno strappo verso il centro. Sembra l’inizio di una storia di sesso, erotica ma inconsistente, solo che…
Quella che Frank si sarebbe fatto più volentieri era la geisha. Anche se forse non era proprio vestita da geisha, ma solo da… giapponesina? Non che avesse importanza. Quella sera, allo Switch, tutte le ragazze erano in maschera. Quella che aveva puntato Frank portava un vestito orientale con dei ricami di crisantemi dorati, una specie di stola di seta nera e una parrucca… doveva essere una parrucca, giusto? Se non lo era, quella tizia si era fatta acconciare i capelli in un modo davvero complicato. L’ultimo tocco era dato da un ombrellino di carta di riso. Avrebbe dovuto avere un aspetto lezioso, ma più che altro sembrava terrorizzata. Frank non capiva perché, nessuno le aveva obbligate a venire. Anzi. Lo Switch era un club privato. Un club per scambisti. La tessera costava un sacco di soldi e le serate non erano per niente economiche. Frank partecipava quando erano a corto di maschi di bella presenza. Lo pagavano per il disturbo, ma era poco più di un rimborso spese. Più che altro era un modo molto comodo per scopare con delle tizie che altrimenti non sarebbero state alla sua portata. Non sapeva perché l’idea lo attizzasse, ma era così. Forse era persino un po’ patetico. Guardò dalla parte di Nancy, che quella sera era vestita da sirena, e lei gli fece l’occhiolino. I maschi no, erano tutti in completo nero. Privilegio di genere, come avrebbe detto Nancy. «Signore… signori…» richiamò la loro attenzione Madame Rose. Lei non era in costume, ma quasi. Il suo vestito da sera assomigliava a un fiocco argentato. Erano argentati anche i capelli, sebbene fosse ancora piuttosto giovane, sulla quarantina, e anche discretamente gnocca. Almeno secondo Frank, che comunque non era di gusti difficili. Le donne gli piacevano eleganti, raffinate, magari anche stronze. Gli piacevano le inibite da scandalizzare a letto. Le frigide a cui far scoprire le gioie del sesso. Poi le voleva anche carine, ma non gli serviva una top model per avere un’erezione.
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Josephine immaginava una vita con Andrew. Erano perfetti. Entrambi giornalisti, lui direttore del canale all-news in cui lavoravano entrambi, affiatati a letto, grande intesa intellettuale. Ma Andrew l’ha scaricata e la vita di Jo è andata a pezzi. Proprio in quel momento però, neanche fosse un segno del destino, Jo riceve in eredità una casa nell’Essex. È il luogo perfetto in cui rintanarsi per leccarsi le ferite e meditare sulla propria vita. Andare avanti non è per niente facile. È ossessionata dal ricordo di Andrew. Ogni mattina si sveglia pensando a lui, il corpo che lo desidera fisicamente, la mente che continua a ripercorrere ogni istante della loro relazione. Di Patrick O’Rourke neanche si accorge. Certo, Patrick è bello, è l’uomo più bello che abbiano mai visto da quelle parti. Al pub locale le ragazze cercano modi sempre nuovi per avvicinarlo, fallendo ogni volta. Jo per fortuna è immune. Ma lo è davvero?
«Alla fine non è così male. Olivia, dico». Erano sul pick-up di O’Rourke e stavano tornando a casa. Era strano quel pensiero. Stavano tornando a casa. «Quindi, tutto considerato, potresti persino darle una possibilità?» «No». Jo rise di quella risposta così netta. «Okay. Tra l’altro, credo che abbia qualcosa in corso con il rappresentante della Guinness». «Bene. Non voglio sembrare altezzoso o roba del genere. È proprio che…» «Olivia gioca in un altro campionato. Lo sa anche lei». «Eh? Quale campionato?» Jo sbuffò. «E dai». «No, guarda, non gioco in nessun campionato. Non gioco». «Cioè sei impotente?» O’Rourke iniziò a tossire e il pick-up sbandò. Poi si mise a ridere. «Ti sembrano cose da chiedere?» «Scusa. Capisco che non ti vada di parlarne. È un problema increscioso». Lui rise ancora. «Essere impotente è un problema increscioso, secondo te? Si vede che non sei un maschio». «Scusa. Sul serio. Mi dispiace. È una tragedia». Lui scosse la testa, continuando a ridere. «Non sono impotente. Sono solo non-praticante. Non voglio… non voglio nessuno tra i piedi». Fermò il pick-up davanti alla porta laterale. Gli alberi, attorno alla casa, erano macchie scure contro il cielo blu e nell’aria c’era odore di terra umida. O’Rourke spense il motore, ma non scese ancora. «Sto elaborando della roba. Roba che mi è successa. Brutta. E non voglio qualcuno che inizi ad aspettarsi da me… non lo so. Affetto, partecipazione, interesse. Non ho niente da offrire».
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Quando un action hero incontra una ragazza dalla lingua tagliente, non c’è tecnica di combattimento che possa salvarlo.
Il sergente del SAS Ryan Hill è in malattia, dopo essere stato ferito a una gamba. A salvarlo da una noiosa convalescenza ci pensa il suo capo, affidandogli un incarico speciale: proteggere una stand-up comedian finita nel mirino del terrorismo islamico. Darcy Yates non immaginava che fare una battuta sulle barbe dei combattenti dell’ISIS l’avrebbe messa in pericolo, ma è successo e ora deve uscirne in qualche modo. Darcy è pungente, è labourista e odia i militari. Non a caso, dato che è la figlia di un generale, lo stesso generale che le ha appena inflitto una scorta di quattro Rambo dei corpi speciali. Darcy non ha alcuna simpatia per quelli che considera sociopatici dal grilletto facile drogati di adrenalina, ma bisogna ammettere che Ryan, il capo pattuglia, è divertente. E sexy. E molto, molto in forma. Nemmeno la consapevolezza che quel tizio è addestrato a uccidere con qualsiasi oggetto, da una matita a un peluche, riesce a smontare l’attrazione che prova per lui, ma c’è un elemento che rema contro sgraditi coinvolgimenti emotivi: il bel Ryan, lì, rischia la vita su base giornaliera in pericolose missioni nei teatri di guerra di tutto il mondo e Darcy sa fin troppo bene com’è aspettare a casa uno che potrebbe non tornare…
«Spiegami questa cosa della mascolinità tossica» disse lui, dopo un po’, cercando di farla pensare a qualcosa di diverso dai due stronzi che li seguivano. «Secondo te il problema degli jihadisti è quello? Mascolinità tossica?» Darcy sbuffò. «E avranno il cazzo piccolo. Di sicuro». Lui si mise a ridere. «Non mi sembra un commento molto femminista». «Ti sbagli. Perché— Il telefono di Darcy iniziò a suonare ed entrambi guardarono il display. «Cavoli, è Miranda. Devo risponderle». «Certo, ma credo che sia meglio non darle dettagli dell’operazione». «Okay». Darcy attivò il vivavoce. «Ciao cara». «Ciao, volevo solo sapere come andava». «Benino, ma ora sono distrutta, Miranda. Sto guidando verso Cardiff. Possiamo sentirci domani?» «E che fine ha fatto il tuo bel marine? Non può nemmeno sostituirti al volante?» Darcy sospirò. «È qua. E spero che i tuoi apprezzamenti estetici lo facciano soprassedere su “marine”, perché mi piacerebbe avere ancora te come agente, nei prossimi anni». «Oh. Ops. Salve, Ryan». «So dove vivi, Miranda» disse lui e Darcy quasi sorrise.
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Lui, una celebrity le cui sregolatezze tengono banco sui giornali scandalistici. Lei, una chirurga ortopedica di origini somale. Un paese fantasma, una storia improbabile e intensa, un atto di generosità che non passa impunito.
Quando riceve una richiesta di intervento in un paese fantasma dell’Alto Piemonte, l’ultima cosa che Jamilah si aspetterebbe di trovare è una celebrity con una gamba incastrata tra le assi di un pavimento cadente. E invece l’uomo in difficoltà è proprio Marco Santacroce, il figlio ormai trentottenne della star del rock Vittorio Santacroce. Il celebre cantante è morto dieci anni prima, ma le sregolatezze del figlio tengono ancora banco sui giornali scandalistici. Jamilah è una chirurga ortopedica, lontanissima dal mondo dello spettacolo e da qualsiasi frivolezza. Italiana di origini somale, ha lavorato nei paesi più poveri del mondo e solo da poco è tornata a vivere nel suo paesello di montagna, tra gli amici del liceo e tra la diffidenza di chi fatica a fidarsi di una dottoressa nera. Lei e Marco non hanno nulla in comune, almeno all’apparenza. Certo, lui è bello, ed è anche diverso da come lo dipingono i siti di gossip. È un po’ più vero e disperato dell’immagine che rimanda il web. Jamilah dovrà provare sulla sua pelle che cosa significhi finire alla gogna mediatica per capirlo davvero. E Marco dovrà cercare di allontanarsi dal passato per cominciare a vivere.
Le porte si aprivano con una tessera magnetica. Santacroce fece scattare la serratura della stanza numero 306 ed entrò. Tutte le luci si accesero al loro ingresso, deboli e gialle. «Non è il massimo della vita» commentò Jamilah, osservando le pareti beige e la moquette marrone. «Ma no, è okay. Senti, volevo chiederti una cosa». A quel punto si interruppe. Lì, in piedi in quella stanza troppo beige, con la porta ancora aperta, nella luce flebile e itterica delle applique di vetro satinato, riflesso dallo specchio sopra la scrivania. In un film quella pausa sarebbe sembrata carica di significati, ma nella realtà fu solo un po’ strana. «Cioè, pensavo» riprese a parlare Santacroce. «Avrai dei piani per la serata». Sembrava un trabocchetto. Non un trabocchetto volontario, magari, ma il genere di affermazione che ti spinge a dare risposte avventate di cui subito dopo ti pentirai. Risposte tipo: “Non ho nessun piano, ecco la mia vagina, facci quello che vuoi”. Jamilah si limitò a un cautissimo: «In che senso?» «Nel senso… stavi tornando a casa. Avrai cose da fare. In caso contrario…» Si interruppe di nuovo, gonfiò le guance ed espirò. «Sono un po’ scosso, per così dire. Ero un po’ scosso anche in partenza, per me non è un gran periodo. Se non hai niente di urgente da fare potresti soccorrermi anche emotivamente e cenare con me. Finché non ho smesso di tremare, diciamo». Lei sbatté le palpebre. «Stai tremando?» «Pensavo che si vedesse. Ora mi pento un po’ di averlo ammesso». Jamilah emise una risata leggera. «Per fortuna c’è la confidenzialità medico-paziente. Potremmo ordinare da qualche parte. Non mi sembri in grado di andare a mangiare fuori». «Già». «Comunque a casa mi aspettava una pizza surgelata». «Oh. Pensavo che voi medici aveste una vita sociale brillante». «Non so come ti sia fatto una simile idea». Santacroce ci pensò per qualche secondo.«Nip/Tuck, credo». Jamilah sospirò e scosse la testa. «Lo dico sempre anch’io che avrei dovuto scegliere chirurgia estetica».
Sul volantino dice: “Mike Reed, marito in affitto”, ed elenca tutte le piccole riparazioni che Mike può fare in casa tua, dall’aggiustarti il lavandino a falciarti il prato. Quello che non dice è che Mike Reed è un vero e proprio splendore, uno che potrebbe fare il modello in una pubblicità di profumi, e che è pure alla mano e simpatico. Quindi dov’è il trucco? Alina lo chiama per una riparazione e poi si trova ad assoldarlo davvero come marito in affitto, o meglio, come fidanzato a una riunione di ex compagni di classe. Mike si comporta in modo perfetto e c’è anche un interludio romantico che Alina non avrebbe mai osato immaginare. È così bello, perché dovrebbe piacerle lei? Proprio lei, con la sua famiglia ingombrante, asfissiante e messicana. Lei che non potrebbe mai fare la modella, nemmeno per una pubblicità di aspirapolveri. Lei che lotta con problemi banali come i concorrenti sul lavoro e non con problemi grossi come quelli di Mike. Perché Mike è splendido, è vero, ma è tutto finto. Una volta scoperta la verità, non c’è più motivo di essere in soggezione. Ma, Alina, aspetta un attimo… sei davvero sicura di aver scoperto la verità?
Quando la luce del lampione mi mostrò in ogni dettaglio l’inconfutabile splendore di Mike Reed, per un istante meditai di non farlo entrare. Ma non potevo aprire il rubinetto centrale dell’acqua senza allagare la cucina e il mattino seguente avrei avuto bisogno di farmi una doccia: mi ordinai di essere pragmatica. Venti secondi più tardi mr. Reed saliva con passo elastico i due gradini che portavano alla mia porta. Aveva una t-shirt bianca che non nascondeva i deltoidi definiti, un gilet da pescatore aperto che lasciava intuire la pancia piatta, e dei jeans non troppo aderenti che non impedivano di vedere che le sue gambe erano snelle, lunghe, muscolose nei punti giusti. Ma la cosa che ti fregava davvero era la faccia. Era uno di quei mori che in realtà sono biondo-scurissimo. Le sopracciglia scure, ad ala di gabbiano. Qualche ruga d’espressione accanto agli occhi, azzurro-grigio. E a dare un tocco ancora più da rivista di moda, entrambe le braccia erano tatuate a partire dal polso, tatuaggi giapponesi con carpe, draghi e crisantemi. Bei tatuaggi che dovevano essergli costati un sacco di soldi. «Mike Reed, il tuttofare che ha chiamato» mi disse, tendendomi la mano. Sorrise, un sorriso aperto e amichevole. Indovinate? Aveva i denti dritti, bianchi, perfetti.
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Dopo una giornata particolarmente dura in tribunale, Kaia Evans, avvocatessa e socia di un grande studio legale di Boston, decide di concedersi una notte di divertimento con un ragazzo di un’agenzia di gigolò. Ma l’uomo che si presenta alla sua porta, non è quello che ha scelto. È meno giovane, è più complicato e ha un dolore negli occhi che Kaia non riesce a dimenticare. E il sesso con lui è la fine del mondo. Consapevole che innamorarsi di un professionista dell’amore sarebbe un’idiozia, Kaia decide di non chiamarlo mai più. Dal canto suo Taylor è stato chiaro: le uniche relazioni che concepisce sono a pagamento. Ma il destino a volte è beffardo, e quando Kaia viene a sapere che il suo studio ha assunto un nuovo caso pro bono che riguarda uno gigolò sfigurato da una cliente, in fondo non si stupisce di scoprire che è Taylor. Le loro vite si intrecceranno in modi che nessuno dei due avrebbe potuto prevedere… nel bene e nel male.
Sul momento restò davvero delusa. Non perché quell’uomo fosse brutto, al contrario, ma appunto perché era un uomo fatto. Doveva avere più di quarant’anni, le guance segnate da diverse rughe dritte, gli occhi chiari sulla pelle abbronzata, la barba di cinque giorni, così a occhio e croce. E dato che l’aveva colto di sorpresa aprendo la porta prima che suonasse il campanello, non sorrideva nemmeno. Aveva un’espressione seria, concentrata… non molto festiva, per così dire. Kaia sospirò. Lì, dritta sulla porta aperta. «Saresti tu? Almeno ti si rizza ancora?». Ripensandoci a posteriori, non sapeva come le fosse sfuggita una simile frase. Offensiva. Maleducata. Ma il professionista, lì, doveva essere abituato alle clienti cafone. Si limitò a una risata bassa e noncurante. «Ovviamente sono pieno di viagra. Ma posso sempre andarmene». Kaia arrossì di colpo. Si fece da parte. «Ti giuro che non so come ho fatto a dire una cosa del genere». Il professionista si strinse nelle spalle. «Almeno sei stata onesta». Si guardò attorno, abbracciò con lo sguardo l’ampio salone e l’arredamento di design. «Sembri un tipo pratico. Spiegami che cosa hai in mente». Kaia si bloccò e lui le lanciò un sorriso bianco e assolutamente torrido. «Non ti imbarazzare».
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Ava e Conrad sono divorziati da dieci anni. Nel frattempo lei è diventata un’attrice famosa, mentre lui era già un manager di successo. Ed è stato un brutto divorzio, il loro, pieno di recriminazioni, dolore e sgradevoli strascichi legali. Ma ora lei è finita sui giornali scandalistici con una foto che la mette in pessima luce, l’intero paese la odia e Ava ha scoperto che i suoi amici fanno schifo. L’unico a cui può chiedere una mano è Conrad – e lui, per quanto controvoglia, l’aiuta. Poi tutto sembra cospirare perché passino del tempo insieme in un modo nuovo, da amici, e perché riescano a chiarire i malintesi del passato. Ma le persone con il tempo cambiano davvero? O Ava e Conrad sono destinati a ripercorrere un sentiero già tracciato?
«Sai qual è la cosa che detesto di più?» sospirò Conrad, a un certo punto, quando il film era ormai verso la fine. Emisi un vago mugolio che significava “no, ti prego, no”, ma Cord continuò a parlare. «Lui è un raider. Quale raider del cazzo si comporterebbe così?». Aggrottai la fronte. «Che cos’è un raider?». «Cristo, Ava, lo spiega lui stesso all’inizio del film. Ma li ascolti, i dialoghi che sai a memoria?». «Mmm… boh. Compra compagnie e poi le vende a pezzi». «Eh. Si chiamano corporate raider. Lui è uno “smembratore”, come Kerkorian con la MGM». «Chi?». Conrad sospirò. «Come Gordon Gekko. Lui lo conosci, sì?». «Mh-mh. Il protagonista di Wall Street di Oliver Stone». «Non so di cosa mi stupisco. Kerkorian è stato uno degli uomini d’affari più influenti del nostro tempo, ma la gente conosce Gordon Gekko». «Va be’, e quindi?». «Quindi, il tuo adorato Edward, lì, è un avvoltoio. Un imprenditore specializzato nello smembrare società in crisi». «Ma poi si pente» dissi, con un sorriso. Lui mi rivolse uno sguardo disgustato. «Non ha senso. O l’azienda che vuole comprare si trova in una crisi strutturale – e allora non c’è altro da fare che tagliarla a pezzi e rivenderla – oppure è in una crisi congiunturale, e allora smembrarla è da imbecilli, perché ristrutturarla è molto più redditizio». Aggrottai la fronte, colta da un pensiero improvviso. «Scusa, tu sei un raider?». Lui alzò gli occhi al cielo. «All’occorrenza. Ma per lo più mi occupo di società sane e con ampi margini di crescita, grazie tante». «Oh, wow. Non ho mai saputo di essere stata sposata con Gordon Gekko».
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