Intoccabile

Omega Group 2

Regno Unito, giorni nostri. Da una ventina d’anni circa, in tutto il mondo, hanno iniziato a nascere bambini dai poteri particolari. Un’opinione pubblica sempre più ostile li definisce “quelli lì” o, sarcasticamente, gli “specials”. Michelle è una di loro.
Sempre in UK, c’è una sezione dei servizi segreti conosciuta come Omega Group. O meglio, no, non è conosciuta, ovviamente è segreta. È composta solo da individui dotati di capacità extrasensoriali fuori scala, esper in grado di leggere nel pensiero, di prevedere il futuro, di spostare gli oggetti con la mente o di fare cose anche più strane.
Michelle è una telepate, lavora da sette anni per l’MI6, sezione distaccata di Hackney. Il suo capo è Oscar Winterbourne, fratello del direttore dell’Omega Group dell’MI5. Tutto in famiglia, o quasi, perché Oscar e Edward non si parlano da quasi settant’anni. E visto che nessuno dei due invecchia, non hanno motivo di affrettarsi a farlo. Michelle con Oscar ha una sorta di relazione, molto complicata, da quando lui le ha detto “più tardi facciamo sesso”. Essendo un precog, la sua non era una domanda. Quando Michelle deve partire per una missione in Russia il vaticinio di Oscar non induce all’ottimismo, ma in fondo chi può saperlo? Il futuro non è mai davvero scritto.

Avevo appena finito di sciacquarmi la faccia nel bagno del piano -3 quando sentii un “crack” familiare alle mie spalle. E alle mie spalle, nello specchio, vidi comparire Oscar.
C’era qualcosa di sbagliato. Di più sbagliato del tuo capo che si materializza dietro di te mentre ti dai una sistemata in un bagno pubblico, intendo. Era stazzonato, evenienza per lui molto rara. I capelli arruffati, il viso sudato, niente giacca, le maniche rimboccate e… non ebbi il tempo di analizzare oltre.
«Non dire niente» sospirò, e mi strinse da dietro.
Lì, contro il lavandino quadruplo del bagno del -3. Cubicoli alle nostre spalle – per fortuna vuoti – il grande specchio un po’ schizzato davanti.
Le sue mani sui seni, prima sopra il vestito, poi a slacciare febbrilmente i bottoni per arrivare alla mia pelle nuda.
Non capivo, ma era Oscar. Non sono mai stata in grado di capirlo, figuriamoci di fermarlo.

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Impossibile

Omega Group 1

Regno Unito, giorni nostri. Da una ventina d’anni circa, in tutto il mondo, hanno iniziato a nascere bambini dai poteri particolari. Un’opinione pubblica sempre più ostile li definisce “quelli lì” o, sarcasticamente, gli “specials”. Amber è una di loro.
Sempre in UK, c’è una sezione dei servizi segreti conosciuta come Omega Group. O meglio, no, non è conosciuta, ovviamente è segreta. È composta solo da individui dotati di capacità extrasensoriali fuori scala, esper in grado di leggere nel pensiero, di prevedere il futuro, di spostare gli oggetti con la mente o di fare cose anche più strane. Molto più strane, nel caso di Amber.
Il suo esp principale è un esp erogeno che le ha dato una scomoda fama da vedova nera, ma che la rende anche perfetta per un certo tipo di operazioni. Per questo, dopo la scuola di formazione, Amber viene assegnata al Brixton Branch, una divisione dell’Omega Group sotto l’illuminato comando di Edward Malachi Winterbourne. Un capo gentile, collaborativo, attento a valorizzare le esperienze di ognuno… e un uomo impossibile. Totalmente impossibile.

Dunque, il direttore. O, come sarei presto arrivata a considerarlo, l’uomo più impossibile del mondo.
Di lui sapevo molto poco, giusto il nome. D’altronde l’Omega Group faceva pur sempre parte dell’MI5, non di una bocciofila. Un sacco di cose erano classificate. Edward Malachi Winterbourne era il direttore da diversi anni, non sapevo quanti, ed era uno degli oldies.
Eh già. I normali pensavano che “Quelli lì” fossero una novità dovuta all’inquinamento, al surriscaldamento climatico, alle onde magnetiche, a una mutazione genetica o agli alieni, ma gli specials erano sempre esistiti. Solo, erano pochi. Così pochi e così rari che fino a una ventina di anni prima erano riusciti a restare segreti.
Alla scuola di formazione ne avevo conosciuto qualcuno e, credetemi, di solito ti davano i brividi. Avevano vissuto un’altra epoca, avevano un altro modo di fare le cose. E, spesso, avevano delle abilità davvero spiccate, oltre che allenate da anni di esercizio.
Dietro la scrivania, un uomo sui trentacinque in un completo sartoriale color antracite, elegante e un po’ antiquato. Se ve lo state chiedendo, io oltre alla felpa con cappuccio e a un giubbottone di jeans nero, portavo un paio di leggings neri e degli anfibi.
«Prego, si accomodi. Sapevo che non avrebbe avuto problemi a trovare il posto».
«Nessun problema» confermai.
Winterbourne mosse il mouse e si sentì il click di un documento che si apriva sul suo computer. Non so perché, ma vederlo interagire con un Mac di ultima generazione mi sembrò subito strano. Forse avevo anche un sesto senso per l’età delle persone e non me n’ero mai accorta.
Perché Winterbourne, lì, sembrava vecchio.
Senza nessuna giustificazione razionale, lo pensai immediatamente. Aveva l’aspetto di un trentacinquenne, lo ribadisco. Un bel trentacinquenne, cosa che sarebbe bastata da sola a destabilizzarmi perché, fino a quel momento, tutti gli oldies che avevo incontrato erano sciatti e anonimi come i personaggi di un libro di spie di John Le Carré. Questo no. Il viso, rasato a pelle, ricordava quello di un attore degli anni ’40. Cesellato, ma virile. I capelli scuri avevano un taglio classico, sfumato. Gli occhi, grigi e incassati, erano sormontati da due splendide sopracciglia ad ala di gabbiano.
E, sebbene fosse seduto dietro una scrivania, sembrava snello, in forma.
E vecchio, chissà perché.
«Immagino che alla scuola di formazione non le avranno spiegato molto, ma si sarà fatta un’idea del perché è stata assegnata al nostro ufficio».
«Sì, signore».
Per un attimo restammo in silenzio e fu un filo imbarazzante. Si aspettava che elaborassi?
«Sì, mi aspetto che elabori» confermò Winterbourne. Che, con quello, mi confermò anche di essere un telepate.

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La legge del caso

Sesso & Potere – fuori collana

Omar Ricciardi è appena stato nominato Presidente del Consiglio. Come sia successo non è del tutto chiaro neanche a lui. Il precedente governo è caduto, okay. In Italia succede spesso. Tutte le persone a cui il Presidente della Repubblica ha conferito un incarico esplorativo non sono riuscite nell’impresa di formare un nuovo esecutivo. Omar sì, anche perché ormai erano tutti esausti.
Ora si trova con un mestiere che non vuole fare, con problemi da risolvere molto più grandi di lui e con un orizzonte temporale estremamente limitato, perché sa già che il suo governo cadrà al primo muover di foglia. Unico aspetto positivo, il nuovo assistente che il suo segretario gli ha procurato si chiama Andrea, sì, ma è una donna. Una giovane donna con le idee molto chiare e nessuna illusione sulla politica, forse disposta a rendere la sua vita migliore sotto più di un punto di vista. Mentre tra loro aumenta l’attrazione, però, per Omar aumentano anche i problemi. In modo esponenziale.

La politica italiana come non l’avete mai vista. E mai la vedrete nella realtà.

Rettori la precedette verso lo studio del presidente, la famosa Galleria Deti, bussò e aprì in un unico gesto. «Omar, c’è qua la prima candidata per il ruolo di capo della segreteria particolare».
Ricciardi era seduto dietro una grande scrivania. Alle sue spalle, una finestra e le bandiere, tutto attorno, dipinti a olio di certo antichi e preziosi, dorature come se piovessero, un soffitto a cassettoni affrescato, tende e poltrone di broccato in tinta e una carta da parati dorata che nessuno sano di mente avrebbe definito sobria. Ricciardi, là in mezzo, sembrava fuori luogo.
Andrea l’aveva visto in TV un paio di volte e aveva fatto un’approfondita ricerca sul suo conto prima di mandare il curriculum. Di cinque anni più anziano di lei, bel viso virile, spalle larghe e fianchi stretti, indossava un maglione bianco piuttosto sformato che rovinava tutto.
«Pensavo che fosse un maschio» ammise candidamente, lanciandole un’occhiata infelice.
«No, Omar. Andrea è un nome anche femminile» puntualizzò il segretario.
«Va be’. Si accomodi, prego».
Andrea si accomodò su una sedia rivestita di broccato rosellino.
«Se preferisce un assistente uomo lo capirò» disse, con un altro sospiro. Era inutile rendergli le cose difficili. Per quanto il suo governo non avesse molte chance di arrivare a sei mesi di vita, era per sempre il Presidente del Consiglio.
«Di sicuro lo preferisce Carlo. Sospetto che abbia scazzato per via del nome. Le succede spesso?»
«Tutto il tempo. Be’, tranne all’estero».
«Già. Mmm… per lei viaggiare è okay?»
Non era la prima domanda che Andrea si aspettasse. «Sì» rispose, un po’ stupita.
«Orari del cazzo, carico di lavoro disumano?»
Era chiaro che Ricciardi doveva ancora mettere a punto il suo lessico presidenziale. «Me lo aspetto, sì».
«Pompini durante la pausa pranzo?»
Andrea non cambiò espressione. «Ma solo se è ragionevolmente pulito».
Ricciardi sbatté le palpebre. Rise. «Era una specie di trabocchetto».
«E la mia era una risposta onesta. La politica è quel che è».
«Ah». Chiaramente era rimasto a corto di domande. «Ci tengo a ribadire che era un trabocchetto. Le persone imperturbabili mi innervosiscono, finisco per sparare cazzate».
«Tendo a essere imperturbabile, mi dispiace».
«Mi sa che non siamo fatti l’uno per l’altra».

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L’Uomo d’Ombra

Lilim Vol. 2

Gili Endre è una lilim. Una nuova nata, che ha appena iniziato il suo percorso tra i diversi piani di realtà in cui vivono gli antichi semidei: An, il cielo, e Ki, la terra, che condividono con gli esseri umani. E dell’essenza vitale degli umani si nutrono, nel loro passaggio nel mondo mortale, creando legami che trascendono l’amore.
La storia di Gili si intreccerà a quella di Emma Kincaid, l’umana che ha messo alle strette il lilim di cui aspetta il figlio, della sua amica Shubad, che è quasi morta di amore per un umano, e di Warad-Sin, l’antico e potente essere che Emma Kincaid si è permessa di rifiutare.
Incombe su tutti loro la figura dell’Uomo d’Ombra, il lilim che più di chiunque altro è vicino alla dimora degli dei, destinato a inoltrarsi nel sogno fino a dissolversi. L’amore di Gili potrà cambiare il suo fato?

C’è un altro mondo, oltre il nostro. O sotto, sopra, di lato. Non ha importanza. È lì che viviamo le nostre infinite incarnazioni. Lo chiamiamo Ki, come la dea, la Madre Terra.
Siamo Lilim, semidei per metà fatti di sogno.
Gli umani ci conoscono dalla notte dei tempi. Ci venerano, ci temono, ma non ci hanno mai capiti.
Be’, ammetto che non abbiamo fatto molto per diventare amici. Li usiamo per portare al mondo i nostri figli, perché un lilim, nella sua forma pura, non può sopravvivere in una realtà densa come la loro.
Poi le nostre vite ibride hanno fine e torniamo a casa. Nell’Eidos, il regno di An, dio del cielo, il sogno che si fa forma. Prosperiamo, impariamo, ci perfezioniamo. Ma per riprodurci dobbiamo incarnarci, non c’è alternativa. E una volta che ci siamo incarnati, dobbiamo nutrirci.
Più a lungo restiamo sul nostro piano d’esistenza, più ci intridiamo di sogno.
I lilim non hanno un inizio e una fine. Vivono in cicli.
Per quanto, anche una vita fatta di cicli abbia un inizio, da qualche parte, e forse una fine. C’è chi non torna. C’è chi si perde nel sogno, o sprofonda nel Kur.
Ma sto precorrendo.
Questa è la mia storia, la storia di una nuova nata. E la storia di come il nostro leader più grande arrivò a reincarnarsi, dopo aver deciso di non farlo mai più.

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Operazioni negabili

Drew ha provato a derubare una grossa compagnia di sicurezza e le è andata male. Catturata da quelle che avrebbero dovuto essere le sue vittime, viene messa davanti a una scelta: lavorare per loro, alle loro condizioni, o essere consegnata all’FBI e rischiare trent’anni di prigione. Tra le due, la seconda prospetta i rischi maggiori, ma offre anche più possibilità di fuga…
Certo, le condizioni non sono gradevoli. Il luogo in cui è costretta a lavorare è strano, disturbante, alienante: un appartamento sprofondato in una penombra perpetua e con tutte le pareti di vetro. Body scanner all’entrata e all’uscita. Nient’altro che la biancheria intima addosso, in teoria per evitare che porti dentro o fuori qualcosa, ma in realtà, Drew ne è consapevole, per intimidirla.
E il dettaglio peggiore: Eric West, il capo della compagnia di sicurezza. Un uomo bellissimo, ma immerso nella paranoia, che inizia subito a giocare con lei come il gatto col topo. Riuscirà Drew a liberarsi? E specialmente… davvero non voleva essere catturata?

«Questo…» provò a dire. Voce roca e spezzata. Tossì. Ci riprovò. «Questo è un sequestro».
«Sì, sì» rispose West, quasi spazientito. «Ma molto breve, non preoccuparti. Abbiamo le prove che hai cercato di derubarci. Tra la violazione informatica, i malware, la compromissione della banca dati, eccetera, se ti consegniamo all’FBI rischi una trentina d’anni di carcere. Con la sicurezza nazionale di mezzo, per di più. Noi?» Un’altra scrollata di spalle. «È stato un arresto illegale, è vero, ma al peggio ci faranno una multa. E con i tempi di reazione che abbiamo avuto, è quasi una pubblicità».
Drew sbatté le palpebre. E quindi? Non capiva dove volesse arrivare West.
Poi lo capì.
«Ma siete stati crackati, eh? Quello meglio non farlo sapere in giro».
Un gesto vago. «Tra l’altro, sì. Hai lavorato da sola?»
«Sempre».
«Se ci stai mentendo lo scopriremo».
«Accomodatevi». Prese fiato. «Non ho capito che cosa vuole da me».
«Ricattarti, no?»
Drew aggrottò la fronte. «In che senso…»
«Oddio, tecnicamente assumerti. Ma se rifiuti, ti consegneremo all’FBI, quindi “ricatto” mi sembra più appropriato».

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Questa ginnastica chiamata amore

Nella sua prima vita Carmen Casanova era una grafica editoriale. Poi una brutta esperienza ha cambiato tutto e ora è socia di uno studio legale specializzato nella difesa delle donne. Finché non viene avvicinata da una cliente misteriosa, vittima di violenze domestiche. Sembrerebbe una storia tristemente comune, se il marito non facesse parte di un clan mafioso.
Il procuratore aggiunto Luigi Lo Presti vive sotto scorta da quando ha mandato in prigione il primogenito di quello stesso clan e hanno cercato di ucciderlo.
È a lui che Carmen si rivolge, perché sa che la sua cliente avrà bisogno della protezione della Direzione Distrettuale Antimafia. Inizia così una collaborazione che li porterà sempre più vicini. Ad accompagnarli, quasi come una colonna sonora dello spirito, le canzoni di Battiato che arrivano ad alto volume dal bar dietro il palazzo di giustizia. Ma è giusto abbandonarsi all’amore (come nel Giappone delle geishe), se sei nel mirino di un clan mafioso? Lo Presti sembra pensare di no, ma le circostanze potrebbero smentirlo.

I corridoi della procura erano deserti come previsto. Il sole era appena tramontato, le aule del tribunale erano chiuse, non c’erano udienze in corso o, se c’erano, erano a porte chiuse. Da qualche ufficio filtrava una luce, da dietro qualche porta proveniva una voce, ma nel complesso non si vedeva anima viva.
Carmen fu fermata da due poliziotti in borghese subito fuori dalla DDA. Era già stata controllata all’ingresso, ma ora la controllarono di nuovo, con più attenzione.
«L’ufficio di Lo Presti è il terzo» le disse uno dei due, quando ebbero finito.
Carmen andò da quella parte in un silenzio irreale. Anche se non era vero silenzio, in fondo erano al centro di una grande città. Il silenzio era solo un’impressione. I suoi passi, nelle Oxford da uomo con la suola rigida, risuonavano sul pavimento di marmo. Su un lato del corridoio, una fila di finestre chiuse affacciava sul retro del palazzo di giustizia. Si sentiva la musica distante di un bar.

… I desideri mitici di prostitute libiche, il senso del possesso che fu pre-alessandrino…

Meraviglioso. Quella canzone sì che le risvegliava buoni ricordi. Ogni volta in cui la sentiva le veniva la pelle d’oca, non poteva evitarlo.
Non aveva mai fatto caso al bar da cui proveniva, forse perché non le capitava spesso di passare dietro al tribunale.
Sul lato interno del corridoio, le porte chiuse di una serie di uffici, anonime e marroni, ogni porta con la sua etichetta.
Carmen bussò alla terza.

… Ed è bellissimo perdersi in quest’incantesimo…

«Avanti!»
Quando Carmen entrò, Lo Presti era quasi arrivato alla porta. «Dottoressa Casanova». Le strinse la mano in modo sbrigativo e le indicò la scrivania.
Era il classico ufficio di un avvocato, pieno di faldoni e raccoglitori, le pareti coperte di librerie economiche, in parte chiuse, e ogni superficie libera invasa di carte.
Era anche un tipico ufficio pubblico, con il riscaldamento troppo alto e i mobili spaiati. Lo Presti era in maniche di camicia e gilet slacciato, Carmen si sfilò la giacca e la posò su una delle due sedie, per poi accomodarsi sull’altra.
«Ora mi dica chi è il marito della sua cliente. Salvo o Michele?»
«Salvatore Iacono» confermò Carmen.
«Già, Michele non sembra il tipo».
Lo Presti si sedette dietro la scrivania e intrecciò le dita davanti a sé. Era più o meno come in TV, solo un po’ più vero. La camicia stropicciata, il mento con un velo di barba. Dimostrava qualcosa in più dei suoi quarantacinque anni e sembrava stanco. A parte questo, non deludeva le attese. Longilineo, sul metro e ottantacinque, capelli castani tirati indietro, un picco della vedova che sconfinava nella stempiatura, lineamenti regolari, naso dritto, labbra sottili, occhi grigi, incassati. Gli occhi, per la precisione, erano puntati su di lei.

Carmen si dimenò sulla sedia, a disagio.

... Le tue strane inibizioni che scatenano il piacere…

Ci mancava solo quella cazzo di canzone. Continuava a sentirla, attutita dalla porta.
«Sono stata contattata da Francesca Iacono. In modo piuttosto insolito, per strada. Si è rifiutata di salire nel mio studio».
«La sorvegliano?»
«Così ha detto».
«Non le è sembrata attendibile?»
«Era francamente terrorizzata. E l’occhio nero era verissimo».

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L’autista

Sesso & Potere 7

La prima volta in cui Sloane ha visto Anton lei era ancora la moglie dell’ambasciatore svetlandese in Kaldes e aveva appena ucciso un aggressore con l’attizzatoio del camino. Lui era stato chiamato per risolvere il problema senza clamore.
Sette anni dopo, da tempo tornata nelle Svetlands, divorziata e con una nuova carriera politica, Sloane è sul punto di annunciare la propria candidatura alle primarie, con la prospettiva di correre per la cancelleria. Una corsa non facile, per la quale tutti le consigliano di trovarsi un partner in grado di aiutarla. Non solo Sloane non intende fidanzarsi solo per migliorare i sondaggi, ma quanto Anton ricompare, senza lavoro e senza un soldo, Sloane lo assume all’istante come autista. Se voleva un partner per la campagna elettorale, non è stata di certo una gran mossa. Anton è mezzo kaldese, con un passato oscuro e nessun peso politico. Ma potrebbe essere proprio quello di cui Sloane ha bisogno.

Si fece accompagnare in Parlamento con la sua cazzo di city car. Prima di chiudersi in ufficio, parlò con Margaret e le chiese per favore di assumerlo come autista. Le disse anche che avrebbe dovuto comprare una macchina appropriata. Quale poteva essere?
«Una berlina blu, secondo me. O nera».
«Mh».
«Può andar bene anche un SUV, ma, Sloane… ti stai per candidare, no?»
«Se non faccio altri casini».
«Appunto. Cerca di comprare un’auto ecologica. Portati avanti».
«Astuta».
«Senza di me saresti una donna morta. Solo una domanda: il tuo ex sa di quest’ultima iniziativa?»
Sloane aggrottò la fronte. «Che cosa c’entra Matt?»
«Sai benissimo che c’entra».
Sloane sospirò. «Pensa che il cancelliere mi ha ordinato di trovarmi un marito».
«Non mi pare che tu stia andando nella giusta direzione».
«No, eh?»
Margaret scosse la testa. «D’altronde, con un autista come quello, che cosa te ne faresti di un marito?»

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Naked

Ayden Brillat-Savarin è l’amministratore delegato di un grande gruppo industriale. È appena stato assoluto da un’accusa di molestie, ma in passato si è macchiato di altre scorrettezze. La sua compagnia, per non correre rischi, gli rifila una mentore: una professionista che gli insegnerà a sopravvivere alle insidie del mondo moderno, dal modo in cui comportarsi con le dipendenti, alle cautele da usare con le minoranze, fino al necessario linguaggio politicamente corretto. Ayden sarebbe molto seccato, se ms. Allegra Foxton, la mentore, non fosse ironica, sveglia e piuttosto carina. In fondo assecondarla non gli costa nulla. Non sa che presto si troverà messo a nudo e la sua vita non sarà più la stessa.

La porta si richiuse alle sue spalle e l’ufficio sembrò sprofondare nel silenzio. Era una sensazione che Ayden amava molto. Era stato lui stesso a far insonorizzare l’ambiente, in modo da non essere disturbato dal continuo suono dei telefoni e delle conversazioni fuori dal suo sancta sanctorum.
Oltre a essere insonorizzato, il suo ufficio era ampio, con una vetrata su un panorama mozzafiato di Canary Wharf, la moquette di un particolare viola che tendeva al grigio, un tavolo di vetro e acciaio, una scrivania abbinata, il divano di pelle naturale e le poltroncine in tinta. Di design. Riservato. Sottotono in modo elegantissimo.
«In casi come questo la porta non dovrebbe sempre restare aperta?» considerò Ayden, con un sorriso bonario.
«Spero che, per quanto lei detesti la situazione, non arriverà a uccidermi e a nascondere il mio cadavere in bagno».

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Classificazione: 3.5 su 5.

Svetlands

Sesso & Potere Vol. 1-5

Svetlands, una nazione immaginaria, ma molto simile a un qualsiasi paese occidentale evoluto. In questa raccolta trovano spazio le prime cinque novelle della serie, le storie di cinque cancellieri e delle loro relazioni. Relazioni talvolta scandalose, sotto gli occhi dell’opinione pubblica, in cui non c’è spazio per il romanticismo e la politica chiede il suo tributo. In queste cinque storie Miss Black esplora ciò che si annida nel cuore di una nazione e di chi la governa: un mondo gretto e carnale, attraversato da improbabili sfumature di sensibilità.
Contiene edizioni rivedute e corrette di:
1. Il cancelliere e la ballerina
2. Dovere di cronaca
3. La candidata
4. Al servizio della nazione

5. Liaison secrète

NB: anche tutte le edizioni singole sono state rivedute e corrette (su tutte le piattaforme)!

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Una storia di sesso

Brielle e Frank si sono incontrati in un club per scambisti. L’idea è stata del ragazzo di Brielle, ma i risultati poi non gli sono piaciuti. In quanto a Brielle, lei non voleva neppure andarci. Con l’uomo che le è capitato si è trovata bene, Frank è un bel tipo ed è bravo a letto, ma non sentiva il bisogno di sperimentare.
Ormai, però, ha sperimentato. Il suo ragazzo si è infuriato e l’ha mollata nel mezzo del nulla, andandosene. Frank le ha dato uno strappo verso il centro.
Sembra l’inizio di una storia di sesso, erotica ma inconsistente, solo che…

Quella che Frank si sarebbe fatto più volentieri era la geisha. Anche se forse non era proprio vestita da geisha, ma solo da… giapponesina? Non che avesse importanza. Quella sera, allo Switch, tutte le ragazze erano in maschera. Quella che aveva puntato Frank portava un vestito orientale con dei ricami di crisantemi dorati, una specie di stola di seta nera e una parrucca… doveva essere una parrucca, giusto? Se non lo era, quella tizia si era fatta acconciare i capelli in un modo davvero complicato. L’ultimo tocco era dato da un ombrellino di carta di riso.
Avrebbe dovuto avere un aspetto lezioso, ma più che altro sembrava terrorizzata. Frank non capiva perché, nessuno le aveva obbligate a venire. Anzi.
Lo Switch era un club privato.
Un club per scambisti.
La tessera costava un sacco di soldi e le serate non erano per niente economiche.
Frank partecipava quando erano a corto di maschi di bella presenza. Lo pagavano per il disturbo, ma era poco più di un rimborso spese. Più che altro era un modo molto comodo per scopare con delle tizie che altrimenti non sarebbero state alla sua portata.
Non sapeva perché l’idea lo attizzasse, ma era così. Forse era persino un po’ patetico.
Guardò dalla parte di Nancy, che quella sera era vestita da sirena, e lei gli fece l’occhiolino. I maschi no, erano tutti in completo nero. Privilegio di genere, come avrebbe detto Nancy.
«Signore… signori…» richiamò la loro attenzione Madame Rose. Lei non era in costume, ma quasi. Il suo vestito da sera assomigliava a un fiocco argentato. Erano argentati anche i capelli, sebbene fosse ancora piuttosto giovane, sulla quarantina, e anche discretamente gnocca. Almeno secondo Frank, che comunque non era di gusti difficili. Le donne gli piacevano eleganti, raffinate, magari anche stronze. Gli piacevano le inibite da scandalizzare a letto. Le frigide a cui far scoprire le gioie del sesso. Poi le voleva anche carine, ma non gli serviva una top model per avere un’erezione.

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