Il marito in affitto

Sul volantino dice: “Mike Reed, marito in affitto”, ed elenca tutte le piccole riparazioni che Mike può fare in casa tua, dall’aggiustarti il lavandino a falciarti il prato. Quello che non dice è che Mike Reed è un vero e proprio splendore, uno che potrebbe fare il modello in una pubblicità di profumi, e che è pure alla mano e simpatico. Quindi dov’è il trucco? Alina lo chiama per una riparazione e poi si trova ad assoldarlo davvero come marito in affitto, o meglio, come fidanzato a una riunione di ex compagni di classe. Mike si comporta in modo perfetto e c’è anche un interludio romantico che Alina non avrebbe mai osato immaginare. È così bello, perché dovrebbe piacerle lei? Proprio lei, con la sua famiglia ingombrante, asfissiante e messicana. Lei che non potrebbe mai fare la modella, nemmeno per una pubblicità di aspirapolveri. Lei che lotta con problemi banali come i concorrenti sul lavoro e non con problemi grossi come quelli di Mike. Perché Mike è splendido, è vero, ma è tutto finto. Una volta scoperta la verità, non c’è più motivo di essere in soggezione. Ma, Alina, aspetta un attimo… sei davvero sicura di aver scoperto la verità?

Quando la luce del lampione mi mostrò in ogni dettaglio l’inconfutabile splendore di Mike Reed, per un istante meditai di non farlo entrare.
Ma non potevo aprire il rubinetto centrale dell’acqua senza allagare la cucina e il mattino seguente avrei avuto bisogno di farmi una doccia: mi ordinai di essere pragmatica.
Venti secondi più tardi mr. Reed saliva con passo elastico i due gradini che portavano alla mia porta. Aveva una t-shirt bianca che non nascondeva i deltoidi definiti, un gilet da pescatore aperto che lasciava intuire la pancia piatta, e dei jeans non troppo aderenti che non impedivano di vedere che le sue gambe erano snelle, lunghe, muscolose nei punti giusti. Ma la cosa che ti fregava davvero era la faccia. Era uno di quei mori che in realtà sono biondo-scurissimo. Le sopracciglia scure, ad ala di gabbiano. Qualche ruga d’espressione accanto agli occhi, azzurro-grigio. E a dare un tocco ancora più da rivista di moda, entrambe le braccia erano tatuate a partire dal polso, tatuaggi giapponesi con carpe, draghi e crisantemi. Bei tatuaggi che dovevano essergli costati un sacco di soldi.
«Mike Reed, il tuttofare che ha chiamato» mi disse, tendendomi la mano.
Sorrise, un sorriso aperto e amichevole.
Indovinate? Aveva i denti dritti, bianchi, perfetti.

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Classificazione: 4.5 su 5.

Quello sbagliato

La sorella di Paloma è morta sola e abbandonata in una casa fatiscente. La sua lenta discesa all’inferno non è stata casuale, bensì il risultato della relazione tossica con un uomo che l’ha piegata fino a spezzarla. Ora è rimasta solo Paloma, la sorella maggiore che non si dà pace per quello che è successo. In cerca di vendetta, dopo aver ridotto in macerie la sua stessa vita, Paloma trova finalmente la persona che può aiutarla. Un killer, un uomo senza scrupoli che ucciderà per lei l’aguzzino della sorella.
Ma Ichor Cinder non lavora gratis e Paloma non ha più nulla. Cinder accetta tuttavia di prenderla al suo servizio, in cambio dell’omicidio. Paloma conoscerà così i membri della sua anonima omicidi, killer prezzolati, ma anche esseri umani con le loro debolezze e i loro pregi. Il più tormentato di tutti sembra essere proprio Cinder: avido, inflessibile, spietato e tirannico… eppure affascinante. E Paloma sa benissimo quanto male può farti la persona sbagliata, ma non è sicura di riuscire a resistere. O di volerlo fare.

Paloma costeggiò la pista e vide di cercasi un posticino dove bere in pace. Un tizio le sbarrò la strada e provò a invitarla a ballare, ma Paloma declinò.
Si fece largo fino ai divanetti che costeggiavano buona parte del perimetro esterno.
Più o meno allora avvistò di nuovo Cinder. Era seduto a un separé, in penombra, nell’angolo meno visibile del locale, e una delle due ragazze con cui si era allontanato gli era praticamente addosso. L’altra era scomparsa, o così sembrava.Paloma sorseggiò il suo drink e rifletté oziosamente su quel che vedeva. La ragazza rideva e sembrava piuttosto ubriaca. Portava avanti lei la conversazione, qualsiasi conversazione fosse. Toccava Cinder sulle guance e sulla bocca, era appiccicata al suo fianco e lui… mmh. Lui le circondava la vita con un braccio. Ogni tanto le allontanava le mani per bere da un bicchiere. Era rilassato contro il schienale del divanetto e…
Oh.Paloma si trovò a tossire, presa alla sprovvista.
Hai capito Cinder…
Aveva individuato la seconda ragazza. Era in ginocchio sotto il tavolino.”

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Classificazione: 4 su 5.

Un professionista dell’amore

7 years special

Dopo una giornata particolarmente dura in tribunale, Kaia Evans, avvocatessa e socia di un grande studio legale di Boston, decide di concedersi una notte di divertimento con un ragazzo di un’agenzia di gigolò. Ma l’uomo che si presenta alla sua porta, non è quello che ha scelto. È meno giovane, è più complicato e ha un dolore negli occhi che Kaia non riesce a dimenticare. E il sesso con lui è la fine del mondo.
Consapevole che innamorarsi di un professionista dell’amore sarebbe un’idiozia, Kaia decide di non chiamarlo mai più. Dal canto suo Taylor è stato chiaro: le uniche relazioni che concepisce sono a pagamento.
Ma il destino a volte è beffardo, e quando Kaia viene a sapere che il suo studio ha assunto un nuovo caso pro bono che riguarda uno gigolò sfigurato da una cliente, in fondo non si stupisce di scoprire che è Taylor. Le loro vite si intrecceranno in modi che nessuno dei due avrebbe potuto prevedere… nel bene e nel male.

Sul momento restò davvero delusa. Non perché quell’uomo fosse brutto, al contrario, ma appunto perché era un uomo fatto. Doveva avere più di quarant’anni, le guance segnate da diverse rughe dritte, gli occhi chiari sulla pelle abbronzata, la barba di cinque giorni, così a occhio e croce.
E dato che l’aveva colto di sorpresa aprendo la porta prima che suonasse il campanello, non sorrideva nemmeno. Aveva un’espressione seria, concentrata… non molto festiva, per così dire.
Kaia sospirò. Lì, dritta sulla porta aperta.
«Saresti tu? Almeno ti si rizza ancora?».
Ripensandoci a posteriori, non sapeva come le fosse sfuggita una simile frase. Offensiva. Maleducata.
Ma il professionista, lì, doveva essere abituato alle clienti cafone.
Si limitò a una risata bassa e noncurante. «Ovviamente sono pieno di viagra. Ma posso sempre andarmene».
Kaia arrossì di colpo.
Si fece da parte. «Ti giuro che non so come ho fatto a dire una cosa del genere».
Il professionista si strinse nelle spalle. «Almeno sei stata onesta». Si guardò attorno, abbracciò con lo sguardo l’ampio salone e l’arredamento di design. «Sembri un tipo pratico. Spiegami che cosa hai in mente».
Kaia si bloccò e lui le lanciò un sorriso bianco e assolutamente torrido.
«Non ti imbarazzare».

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Classificazione: 4.5 su 5.

Ex

Ava e Conrad sono divorziati da dieci anni. Nel frattempo lei è diventata un’attrice famosa, mentre lui era già un manager di successo. Ed è stato un brutto divorzio, il loro, pieno di recriminazioni, dolore e sgradevoli strascichi legali. Ma ora lei è finita sui giornali scandalistici con una foto che la mette in pessima luce, l’intero paese la odia e Ava ha scoperto che i suoi amici fanno schifo. L’unico a cui può chiedere una mano è Conrad – e lui, per quanto controvoglia, l’aiuta. Poi tutto sembra cospirare perché passino del tempo insieme in un modo nuovo, da amici, e perché riescano a chiarire i malintesi del passato. Ma le persone con il tempo cambiano davvero? O Ava e Conrad sono destinati a ripercorrere un sentiero già tracciato?

«Sai qual è la cosa che detesto di più?» sospirò Conrad, a un certo punto, quando il film era ormai verso la fine.
Emisi un vago mugolio che significava “no, ti prego, no”, ma Cord continuò a parlare.
«Lui è un raider. Quale raider del cazzo si comporterebbe così?».
Aggrottai la fronte. «Che cos’è un raider?».
«Cristo, Ava, lo spiega lui stesso all’inizio del film. Ma li ascolti, i dialoghi che sai a memoria?».
«Mmm… boh. Compra compagnie e poi le vende a pezzi».
«Eh. Si chiamano corporate raider. Lui è uno “smembratore”, come Kerkorian con la MGM».
«Chi?».
Conrad sospirò. «Come Gordon Gekko. Lui lo conosci, sì?».
«Mh-mh. Il protagonista di Wall Street di Oliver Stone».
«Non so di cosa mi stupisco. Kerkorian è stato uno degli uomini d’affari più influenti del nostro tempo, ma la gente conosce Gordon Gekko».
«Va be’, e quindi?».
«Quindi, il tuo adorato Edward, lì, è un avvoltoio. Un imprenditore specializzato nello smembrare società in crisi».
«Ma poi si pente» dissi, con un sorriso.
Lui mi rivolse uno sguardo disgustato. «Non ha senso. O l’azienda che vuole comprare si trova in una crisi strutturale – e allora non c’è altro da fare che tagliarla a pezzi e rivenderla – oppure è in una crisi congiunturale, e allora smembrarla è da imbecilli, perché ristrutturarla è molto più redditizio».
Aggrottai la fronte, colta da un pensiero improvviso. «Scusa, tu sei un raider?».
Lui alzò gli occhi al cielo. «All’occorrenza. Ma per lo più mi occupo di società sane e con ampi margini di crescita, grazie tante».
«Oh, wow. Non ho mai saputo di essere stata sposata con Gordon Gekko».

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Classificazione: 3 su 5.

Smooth Operator

Sesso & Potere 6

Leon Snider, il nuovo comandante dell’Unità Antiterrorismo della capitale delle Svetlands, al suo insediamento non è il benvenuto. Nel suo passato c’è una strage in cui è morta buona parte della sua squadra e nessuno dei suoi uomini lo vuole come capo. Cassandra Milton meno degli altri. Per lei, resa orfana da una bomba, l’Unità Antiterrorismo è come una famiglia e non ha nessuna intenzione di aiutare quello che considera soltanto un assassino di poliziotti. Ma Snider è un personaggio particolare: ambiguo, affascinante, senza scrupoli e con un senso dell’umorismo nerissimo. Tutti lo odiano, ma è difficile non essere presi nella sua rete. Per di più si avvicina il giorno del matrimonio del cancelliere, l’allarme terrorismo è massimo e sembra che solo Snider sia in grado di fermare la cellula di estremisti che minaccia la città. Cassandra sarà costretta a prestarsi al suo gioco, per un bene superiore. Ed è poi così malvagio, il comandante Snider? O nasconde un segreto di stato che non è libero di rivelare?

Lunedì mattina alle dieci fu convocata al Marshal da Snider. La sua telefonata fu breve e brutale: «Visto che non vuole perdersi la minima opportunità di farsi uccidere, stiamo per effettuare una ricognizione. Se arriva entro un quarto d’ora, l’aspettiamo».
Cassandra arrivò in dieci minuti.
Aveva un modo infallibile per aggirare il sempiterno traffico di Garamantia: viveva a dieci metri dalla metropolitana, sulla linea gialla che aveva una fermata proprio alle spalle del Marshal.
Si presentò in armeria con la tuta operativa già addosso.
Snider aveva la metà superiore della sua ancora abbassata. Sotto portava una t-shirt blu della polizia, molto decente, ma anche piuttosto attillata. D’altronde a nessuno piaceva trovarsi una t-shirt troppo larga appallottolata sotto la tuta, era scusabile, ma Cassandra avrebbe fatto a meno di riuscire a contare i bugni dei suoi addominali. Nell, al contrario, si stava chiaramente godendo lo spettacolo.
«È venuta in elicottero, Milton?» disse lui, con un mezzo sorriso divertito.
«Metro».
«È davvero senza paura».
Si infilò una manica e controllò la mitragliatrice MP5, prima di finire di chiudersi la tuta e passarsela a tracolla. Non si poteva negare che fosse piacevole alla vista.

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Classificazione: 2 su 5.

Il bambino nella pioggia

In una giornata come tante, Vera trova una macchina rovesciata in un fosso sulla strada che passa accanto alla sua fattoria. Dentro la macchina c’è uno straniero, o meglio, un tizio di città che chissà come è finito da quelle parti. Lo straniero non vuole essere portato in ospedale e sembra in fuga da qualcosa, ma si offre di sdebitarsi aiutandola con la fattoria. Le dice solo il suo nome: Scott.
Scott non parla molto, ma lavora duro, e a Vera una mano serve davvero, perché da quando suo marito è morto, due anni prima, è da sola alla fattoria e sta per soccombere alla fatica, all’amarezza e ai debiti. Quello che un tempo era un sogno si è lentamente trasformato in un incubo di riparazioni non fatte, frutta non raccolta e bustarelle non pagate. Funziona così, da quelle parti. Tutti dicono di voler aiutare una donna sola, ma il suo terreno fa gola a molti. Alla cooperativa, che si è offerta di comprare a un terzo del valore, e ai fratelli Cuddy, che insieme alla proprietà si comprerebbero volentieri anche Vera.
Scott lavora e non fa domande. Ma chi è? Da dove viene? Quali esperienze l’hanno portato a fuggire dal mondo e a nascondersi lì? Vera sa solo che di lui si fida sempre di più e che sta risvegliando in lei qualcosa che pensava morto per sempre…

Quando il sole era ormai basso sull’orizzonte Vera si mise a tagliare le verdure per il minestrone, mentre Scott si dava una lavata. Tornò in cucina poco dopo con una delle sue camicie nuove addosso.
«Puoi anche riposarti un po’, ogni tanto» gli disse, sentendo che si fermava dietro di lei.
«Già. Non volevo aiutarti» rispose lui. Le posò le mani sui fianchi, da dietro, mentre lei sbucciava le patate. Vera si bloccò e gli lanciò un’occhiata al di sopra della propria spalla. «Cioè?» chiese.
Lui la circondò con le braccia, appoggiandosi a lei senza premere. Le sue mani rimasero sulla pancia di Vera, senza scendere né salire. «Niente, mi va» rispose Scott. Le baciò il collo. «Se non ti secca resto così, mentre affetti quella roba».
«N-non mi secca» balbettò lei. Riprese a sbucciare le patate. Gesti veloci e sicuri, gesti che era abituata a fare. Il calore del corpo di lui dietro al proprio era confortante. Le piaceva la vicinanza. Le piaceva stare nelle sue braccia.
Le faceva anche paura, ma a quello poteva non pensare. Concentrarsi sulle patate da fare a dadini sul tagliere.
Il sole si abbassò sui campi, riempiendo la cucina di luce arancione. All’improvviso le venne in mente che era tanto tempo che non ascoltava la radio. Qualche bella canzone.
Non la accese. Non voleva spostarsi, finché lui continuava ad abbracciarla da dietro.

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Classificazione: 3 su 5.

Vita privata e abitudini di accoppiamento del vampiro newyorkese

The New Little Black Chronicles

Katel lavora in un’azienda di telecomunicazioni di Manhattan, nel ramo risorse artistiche. La sua vita scorre tra un impegno e l’altro, quando un incidente le apre un posto che non avrebbe mai pensato di ricoprire: assistente di Florian Viscardi, grande capo in persona.
Viscardi si rivela da subito un individuo particolare. Riservato in modo quasi patologico, gravemente fotofobico, vive al chiuso o dopo il caler del buio. Ma è anche una persona acuta, curiosa e meno altera di quanto possa sembrare. E ha gli occhi più incredibili che Katel abbia mai visto. Inevitabilmente, inizia a subire il suo fascino, senza speranza di essere ricambiata. Per quell’uomo bellissimo e potente lei è solo una valida collaboratrice. Non oltrepassa mai i limiti del rapporto professionale.
Ma, poi, lui è davvero quello che sembra? Katel si rende sempre più conto che la vita che vive è perlopiù una menzogna… chi è davvero Florian Viscardi? La risposta è così incredibile che non può essere vera. Oppure sì? Davvero il suo affascinante capo è un mostro delle leggende?

«Scusa, di chi è questa macchina?».
«Mia. Veicolo personale. Cerca di trattarla bene».
Lui ridacchiò. Era tutto stravaccato sul sedile del passeggero e, anche se era truccato, assomigliava ancora al suo vero sé. «Una Porsche Carrera? Sul serio, Katel? Ti facevo più originale».
Gli lanciai un’occhiataccia.
«Non parlare male della mia bambina».
Lui rise ancora. «No, no, ci mancherebbe. E cercherò di trattarla con ogni gentilezza… sperando che questa tizia “serissima” non mi salti addosso sulla via di casa».
«Oh. Oh, che razza di animale, per forza Andrea ti ha scaricato. Non osare fare giochetti strani nella mia macchina».
Lui sospirò. «Ma no, figurati. Con Heather Quella-lì, poi. Sarà vanilla dalla testa ai piedi. Tu sei vanilla, Katel?».
Era la primissima domanda di natura personale che mi facesse. Fino a quel momento la sua discrezione era stata completa, non mi aveva mai chiesto neppure se preferissi il caffè nero o macchiato. E ora quella strana domanda.
«Io non sono niente. Non ho relazioni, non faccio sesso occasionale, non guardo nemmeno film erotici».
«Sei messa così male, eh?».
Ero messa così male. A peggiorare la situazione, da qualche tempo coltivavo il sogno impossibile di farmi lui, una cosa che non sarebbe mai successa, fantascienza pura.
«Ma ho una bella macchina» mi difesi.

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Classificazione: 4 su 5.

Un’abitudine pericolosa

Aidan Smith ha perduto l’amore. Almond se n’è andata con un altro e non tornerà più. Forse per questo, quando gli hanno chiesto di tornare in medio oriente e di rischiare la vita per il suo Paese, non ha trovato nessun motivo per rifiutare.
Brooklyn Wilson la vita ha scelto di rischiarla coscientemente. Essere una marine per lei non è più abbastanza, da quando suo fratello è morto in Afghanistan, così decide di entrare in una squadra per le operazioni speciali. In quella squadra ognuno ha un motivo, chissà quale, dal tenente Cruz, un concentrato di testosterone e sex appeal, alla bella caporale Scott, al silenzioso Daniels, a Fisher il cui matrimonio è finito, a Cole dal sorriso aperto.
Le storie di tutti loro stanno per incontrarsi tra le montagne aspre al confine tra Pakistan e Afghanistan, dove la vita vale poco e l’amore è un lusso che nessuno può concedersi.

Quando il debriefing era finito, Wilson gli aveva chiesto se aveva qualche altro minuto per parlare con lei, senza il registratore.
«Ma certo» aveva risposto Aidan, anche se tutto quello che voleva era andare a letto.
E così ora erano seduti al banco del bar dell’hotel dove Stonewall l’aveva portato la sua prima sera a Islamabad, dove l’aveva interrogato facendola passare per una conversazione amichevole, per poi annunciargli che il giorno dopo gli avrebbero fatto il poligrafo. Procedura standard.
Aidan aveva passato la macchina della verità senza sforzo. Era una di quelle persone, di quelle il cui battito resta costante, che non sudano quando mentono e le cui pupille si allargano solo quando hanno paura o sono eccitate, ossia non durante uno stupido test.
«Non sono riuscita a capirlo» gli disse Wilson, con davanti un bicchiere di bourbon. «Che cosa ne pensa lei, no? Di solito lo capisco, ma lei è davvero impenetrabile».
«Sì?».
«In senso positivo. Dev’essere bello essere così… distaccato. Scusi, non dormo da troppo tempo, parlo a vanvera».
«Lo dica a me. Ma non sono distaccato, lo sembro solo».
Lei rise, bevve un sorso. «Un bel vantaggio. Non so che cosa pensare di tutta questa storia. Ho già cambiato idea mille volte. Eppure non è difficile: Cruz ha preso la decisione giusta. Come ha fatto non lo so…»
«Perché aveva una relazione con Scott».
«Ah, quindi lo sa».
«È più o meno la prima cosa che mi ha detto. È abbastanza devastato».
Wilson guardò nel bicchiere. «Uhm, le ha detto anche…»
Certo che glielo aveva detto, ma Aidan fece il finto tonto. «Che cosa?».

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Classificazione: 4 su 5.

Come due alberi senza radici

Jena Berry è cresciuta il geniale truffatore Alexander Nabokov, che l’ha adottata quando sua madre l’ha abbandonata in fasce in casa sua. Ha avuto un’infanzia insolita ed è diventata una persona insolita: autonoma, sarcastica, fragile e bellissima. Poi Alexander è morto e il mondo di Jena è andato in frantumi.
Quando finisce nei guai, si sta ancora riprendendo da quel lutto improvviso. Si trova a fuggire da un commando omicida insieme a un killer a pagamento che gli è stato descritto come “il replicante di Blade Runner, puoi solo sperare che muoia di vecchiaia”. Sembra che sia solo finita al posto sbagliato al momento sbagliato, ma lei e il killer capiscono presto che la faccenda è molto più spinosa e affonda in un passato di cui Jena non sa nulla: il passato del suo padre adottivo. Braccati da un avversario sconosciuto, i due sono costretti a interagire ben più di quanto vorrebbero. Anche “Roy Batty”, così lo soprannomina Jena, ha delle ferite di vecchia data e neanche lui è immune agli agguati di un passato che preferirebbe dimenticare…

Dentro era buio, ma non abbastanza buio perché non riuscisse a vedere il buco della canna di una pistola a pochi centimetri dal suo naso. Il killer indossava un passamontagna nero che lasciava scoperti solo due occhi verdastri e indifferenti.
Erano le mani e gli avambracci a essere indicativi. Le dita erano lunghe e dalle unghie ben curate e dal dorso della mano partivano vene in rilievo come corde, che si arrampicavano su per le braccia, sotto alla peluria scura ma non eccessivamente folta. Quelle mani e quelle braccia, pensò Jena, davano l’idea di essere piuttosto forti e per niente soggette a tremiti.
La porta si richiuse dietro di lei.
«Mi dispiace dirle che è necessario che si tolga tutti i vestiti».
«Sarei curiosa di sapere se sarebbe necessario anche se pesassi duecento chili» ribatté Jena.
«In quel caso non l’avrei mai lasciata entrare, signorina. Nelle pieghe del grasso si può nascondere di tutto, e non mi pagano abbastanza per quel genere di perquisizione».
Jena sbuffò e si liberò con malagrazia di tutti i vestiti. Poi si appoggiò le mani sui fianchi e rivolse al killer un sorriso indisponente.
«Si volti».
Jena eseguì, alzando gli occhi al cielo. «Se per caso ha in mente di indagare oltre sulle possibili armi che potrei avere addosso le comunico che la vita di Bronze non mi sta a cuore fino a questo punto. O, per meglio dire, i suoi soldi».
La pistola calò lentamente. «Si accomodi, prego».

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Classificazione: 4 su 5.

Il fuorigioco spiegato alle ragazze

Lenny Pirie è una scrittrice impegnata, una giornalista, un’intellettuale. Non ha mai visto una partita di calcio in vita sua e non le interessa fare l’esperienza. Ma per il suo nuovo libro sulle icone inglesi dei tempi moderni deve intervistare il popolarissimo attaccante del Chelsea Byron Kelsey, detto “The Corsair”. Byron parla un inglese quasi incomprensibile alle sue orecchie, segue un regime dietetico folle e si allena un numero spaventoso di ore al giorno. Per il britannico medio rappresenta la perfezione fisica, un mito, un eroe. Per Lenny rappresenta l’incarnazione di una società malata di apparenze.
Ma Byron non è solo uno sportivo viziato e ha delle profondità, e delle asperità, inaspettate. E, cosa ancora più inaspettata, non sembra insensibile al fascino tutto cerebrale di Lenny…

Lenny chiuse la chiamata e si andò a sedere accanto a lui sul divanetto di rattan, davanti la vista mozzafiato che si godeva dal suo balcone.
«Wow, che panorama, eh?».
«Vero? Hai organizzato tutto?».
Lei annuì. «Certo, se me l’avessi detto prima avrei potuto attrezzarmi».
«Depilarti».
«Oddio, non credo che sarei arrivata a tanto».
Byron rise. Aveva un bel modo di ridere, pensò Lenny, risate basse e vibranti.
«Non mi prendi proprio sul serio, è inutile».
«Ti prendo sul serissimo. Ma, insomma, depilarmi non servirebbe a niente, con tutte le cose che ho da fare. Ho guardato delle partite. Sul serio, dall’inizio alla fine, compresa la telecronaca. E ho letto interviste. Migliaia di pagine di gossip. Giornali sportivi, di cui ho capito ben poco. Di questo passo, un giorno mi sveglierò e scoprirò di sapere che cos’è il fuorigioco».
Lui rise ancora. «Mi fai impazzire. È semplice».
«La fisica quantistica è semplice. Il fuorigioco è un luogo comune che non mi interessa scalfire».
«Ho pensato» disse lui, tornando serio. «Oggi parleremo della fama, no? Abbiamo parlato del calcio, abbiamo parlato della fatica… resta la fama. Quindi ti porto a una festa».
«Sei diabolico».
«E noi possiamo usare le due ore dell’intervista per volare alto. Visto che la fama, sai, come argomento non è molto alto».
Lenny lo guardò con autentica ammirazione. Quel tizio lì. Quel tizio che per vivere tirava calci a una palla, posava sui manifesti della Nike e rappresentava i sogni di mezza nazione. Uno che non pronunciava nemmeno i “the” tutti interi.

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