La notte si porta via tutto

Lui, una celebrity le cui sregolatezze tengono banco sui giornali scandalistici.
Lei, una chirurga ortopedica di origini somale.
Un paese fantasma, una storia improbabile e intensa, un atto di generosità che non passa impunito.

Quando riceve una richiesta di intervento in un paese fantasma dell’Alto Piemonte, l’ultima cosa che Jamilah si aspetterebbe di trovare è una celebrity con una gamba incastrata tra le assi di un pavimento cadente. E invece l’uomo in difficoltà è proprio Marco Santacroce, il figlio ormai trentottenne della star del rock Vittorio Santacroce. Il celebre cantante è morto dieci anni prima, ma le sregolatezze del figlio tengono ancora banco sui giornali scandalistici. Jamilah è una chirurga ortopedica, lontanissima dal mondo dello spettacolo e da qualsiasi frivolezza. Italiana di origini somale, ha lavorato nei paesi più poveri del mondo e solo da poco è tornata a vivere nel suo paesello di montagna, tra gli amici del liceo e tra la diffidenza di chi fatica a fidarsi di una dottoressa nera. Lei e Marco non hanno nulla in comune, almeno all’apparenza. Certo, lui è bello, ed è anche diverso da come lo dipingono i siti di gossip. È un po’ più vero e disperato dell’immagine che rimanda il web. Jamilah dovrà provare sulla sua pelle che cosa significhi finire alla gogna mediatica per capirlo davvero. E Marco dovrà cercare di allontanarsi dal passato per cominciare a vivere.

Le porte si aprivano con una tessera magnetica. Santacroce fece scattare la serratura della stanza numero 306 ed entrò. Tutte le luci si accesero al loro ingresso, deboli e gialle.
«Non è il massimo della vita» commentò Jamilah, osservando le pareti beige e la moquette marrone.
«Ma no, è okay. Senti, volevo chiederti una cosa». A quel punto si interruppe. Lì, in piedi in quella stanza troppo beige, con la porta ancora aperta, nella luce flebile e itterica delle applique di vetro satinato, riflesso dallo specchio sopra la scrivania. In un film quella pausa sarebbe sembrata carica di significati, ma nella realtà fu solo un po’ strana.
«Cioè, pensavo» riprese a parlare Santacroce. «Avrai dei piani per la serata».
Sembrava un trabocchetto. Non un trabocchetto volontario, magari, ma il genere di affermazione che ti spinge a dare risposte avventate di cui subito dopo ti pentirai. Risposte tipo: “Non ho nessun piano, ecco la mia vagina, facci quello che vuoi”.
Jamilah si limitò a un cautissimo: «In che senso?»
«Nel senso… stavi tornando a casa. Avrai cose da fare. In caso contrario…» Si interruppe di nuovo, gonfiò le guance ed espirò. «Sono un po’ scosso, per così dire. Ero un po’ scosso anche in partenza, per me non è un gran periodo. Se non hai niente di urgente da fare potresti soccorrermi anche emotivamente e cenare con me. Finché non ho smesso di tremare, diciamo».
Lei sbatté le palpebre. «Stai tremando?»
«Pensavo che si vedesse. Ora mi pento un po’ di averlo ammesso».
Jamilah emise una risata leggera. «Per fortuna c’è la confidenzialità medico-paziente. Potremmo ordinare da qualche parte. Non mi sembri in grado di andare a mangiare fuori».
«Già».
«Comunque a casa mi aspettava una pizza surgelata».
«Oh. Pensavo che voi medici aveste una vita sociale brillante».
«Non so come ti sia fatto una simile idea».
Santacroce ci pensò per qualche secondo. «Nip/Tuck, credo».
Jamilah sospirò e scosse la testa. «Lo dico sempre anch’io che avrei dovuto scegliere chirurgia estetica».

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