Dalla parte del torto

I regni di Marmor e Amandre si contendono da sempre un fazzoletto di terra al confine tra le due nazioni, una guerra che è diventata una sanguinosa abitudine. Finché la secondogenita di Amandre, Malachite, non viene catturata dai nemici. La sua sorte è sancita dalle antiche e crudeli tradizioni di Marmor e l’ordalia che dovrà sopportare non le lascia scelta, né dignità. L’esecutore del suo destino è il riluttante generale Turmalin, che sente su di sé tutta la vergogna del compito che è chiamato ad adempiere. Nel frattempo i due principi nemici, Mercure e Falke, sono legati da una vendetta altrettanto terribile: carnefice l’uno, martire l’altro. Come può nascere l’amore, quando è così chiaro da che parte cade il torto? Come può esservi speranza?
Eppure non sempre tutto è lineare come sembra e la passione può essere un sentimento contorto, difficile, violento… e incontrollabile.

Akelei si avvicinò al maestro di cerimonia.
«Generale Turmalin» disse lui, con un inchino.
Due guardie stavano slegando la principessa, senza nessuna gentilezza.
«Come devo procedere?» rispose Akelei, senza tergiversare.
Il maestro di cerimonia annuì. «Porteremo subito la prigioniera alla sua residenza, generale. Resterà sotto la sua custodia, sua responsabilità. Dovrà aspettare il primo ciclo, prima di procedere». Un lieve sospiro. «Be’, potrebbe anche non essercene bisogno».
«Me lo auguro» rispose Akelei, anche se sapeva fin troppo bene quanto fosse improbabile.
No, era rassegnato al suo destino.
L’illustre generale Akelei “Tiger” Turmalin, eroe di guerra pluridecorato, avrebbe aggiunto al suo stato di servizio un nuovo titolo: esecutore del principe.
In una parola, torturatore reale.

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Classificazione: 4 su 5.

La pelle del mostro

In una città lagunare ormai in rovina, Raina ha rinunciato a tutto: al proprio lignaggio, a ogni affetto e alla speranza. La città è a pezzi, dilaniata da una lotta intestina tra fazioni e accerchiata da un nemico soverchiante. La povertà dilaga, i canali sono invasi dai serpenti marini, non resta quasi nulla dell’antica tecnologia e dell’antico splendore. Raina è alla deriva, finché non le capita di salvare una ragazzina coraggiosa e sventata: Jayde. Jayde è la figlia di Uno dei signori della città, il famigerato e crudele Argent Sephiran, ma non è come lui. È affamata d’amore e vuole dimostrare al mondo di valere qualcosa. Così tra la ragazzina senza una madre e la giovane donna senza una famiglia si crea una strana, profonda, amicizia. Argent è sospettoso nei confronti di Raina, ma ama sua figlia più di qualsiasi cosa al mondo e per lei è disposto a proteggere anche la nuova arrivata. Che, tra l’altro, è un’incredibile cacciatrice di serpenti marini. Ma in una città come la loro nessun affetto è semplice, e ogni speranza ha il suo prezzo.

Presi il mio equipaggiamento e iniziai a trasferirlo sul mio barchino. Del serpente si sarebbero occupati gli uomini di Sephiran, grazie al cielo. Scuoiarne uno non era molto simpatico.
«Non intendi reclamare questa pelle, Raina Tempest?» chiese una voce divertita, dalla banchina.
Alzai lo sguardo.
Argent Sephiran stava seguendo le operazioni attorno alla nostra preda, le braccia incrociate sul petto e un mezzo sorriso sul volto.
Mi inchinai.
Sephiran mi chiamò con un dito.
Merda, pensai, ora che cosa succede?
Saltai sulla banchina, rassegnata a perdere il mio nuovo posto di lavoro.
Mi inchinai di nuovo. «Signore?».
Lui indicò il serpente con un cenno del capo. «Sul serio. Non reclami questa pelle?».
«È di Jayde».
«Sì? È stata lei a finirlo?». Un altro gesto nei confronti del serpente. «È stata lei a colpirlo all’occhio? A portare quel colpo da maestro?».
Sospirai. «Sta imparando».
«A me pare che stia rischiando la buccia per l’unico motivo di irritare la sua matrigna. Ma ammetto che irritarla può essere divertente».
«Vuole conquistarsi il suo posto».
«E anche oggi è finita in acqua» puntualizzò lui.
«Sa nuotare» dissi, prima di riuscire a trattenermi. Poi sospirai di nuovo. «Ma sono sicura che lei ha presente meglio di me che cosa sa o non sa fare Jayde».
Sephiran mi rivolse una lunga occhiata, che mi guardai bene dal ricambiare.
«La cosa interessante sembra un’altra. Che cosa sai o non sai fare tu. Ammetto che, se mia figlia non avesse scavato, mi sarei bevuto la storiella della Lontra. Fammi un favore…»
Ci siamo… qua è dove mi gioco il lavoro e forse anche la buccia.
«…Fatti dare una tuta con le mie insegne. Non voglio che mentre voi ragazzine siete a giocare nei canali vi metta gli occhi addosso qualche malintenzionato».
Inarcai un sopracciglio, ma non commentai. Quale malintenzionato se la sarebbe presa con due “ragazzine” con degli arpioni in mano? Ma forse il messaggio era un altro ed ero io a non capire.
«Sissignore» dissi.
Lui annuì e mi lasciò sulla banchina.

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Classificazione: 3 su 5.

Come due alberi senza radici

Jena Berry è cresciuta il geniale truffatore Alexander Nabokov, che l’ha adottata quando sua madre l’ha abbandonata in fasce in casa sua. Ha avuto un’infanzia insolita ed è diventata una persona insolita: autonoma, sarcastica, fragile e bellissima. Poi Alexander è morto e il mondo di Jena è andato in frantumi.
Quando finisce nei guai, si sta ancora riprendendo da quel lutto improvviso. Si trova a fuggire da un commando omicida insieme a un killer a pagamento che gli è stato descritto come “il replicante di Blade Runner, puoi solo sperare che muoia di vecchiaia”. Sembra che sia solo finita al posto sbagliato al momento sbagliato, ma lei e il killer capiscono presto che la faccenda è molto più spinosa e affonda in un passato di cui Jena non sa nulla: il passato del suo padre adottivo. Braccati da un avversario sconosciuto, i due sono costretti a interagire ben più di quanto vorrebbero. Anche “Roy Batty”, così lo soprannomina Jena, ha delle ferite di vecchia data e neanche lui è immune agli agguati di un passato che preferirebbe dimenticare…

Dentro era buio, ma non abbastanza buio perché non riuscisse a vedere il buco della canna di una pistola a pochi centimetri dal suo naso. Il killer indossava un passamontagna nero che lasciava scoperti solo due occhi verdastri e indifferenti.
Erano le mani e gli avambracci a essere indicativi. Le dita erano lunghe e dalle unghie ben curate e dal dorso della mano partivano vene in rilievo come corde, che si arrampicavano su per le braccia, sotto alla peluria scura ma non eccessivamente folta. Quelle mani e quelle braccia, pensò Jena, davano l’idea di essere piuttosto forti e per niente soggette a tremiti.
La porta si richiuse dietro di lei.
«Mi dispiace dirle che è necessario che si tolga tutti i vestiti».
«Sarei curiosa di sapere se sarebbe necessario anche se pesassi duecento chili» ribatté Jena.
«In quel caso non l’avrei mai lasciata entrare, signorina. Nelle pieghe del grasso si può nascondere di tutto, e non mi pagano abbastanza per quel genere di perquisizione».
Jena sbuffò e si liberò con malagrazia di tutti i vestiti. Poi si appoggiò le mani sui fianchi e rivolse al killer un sorriso indisponente.
«Si volti».
Jena eseguì, alzando gli occhi al cielo. «Se per caso ha in mente di indagare oltre sulle possibili armi che potrei avere addosso le comunico che la vita di Bronze non mi sta a cuore fino a questo punto. O, per meglio dire, i suoi soldi».
La pistola calò lentamente. «Si accomodi, prego».

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Classificazione: 4 su 5.

Caradoc

In un futuro vicinissimo a noi l’Inghilterra è diventata uno stato totalitario, dove ogni libertà individuale è bandita, tutti gli stranieri sono stati cacciati, l’economia è crollata e chi non si rassegna finisce nelle mani della polizia politica. È quello che è successo a Sienna McLane, la cui unica infrazione è stata sposare un suo amico gay per salvarlo dalla “rieducazione”. Riconquistata la libertà a caro prezzo, si è unita alla Resistenza, ma è stata catturata di nuovo. Ora, dopo tre anni di inferno, viene trasferita alla Sezione Speciale, un carcere diverso da tutti gli altri carceri, con un chiostro silenzioso e le celle sempre aperte… un luogo sereno in cui il direttore le dice con semplicità che avrà solo due scelte: collaborare o morire. Sembra che per Sienna tutto sia finito, ma nel direttore della Sezione Speciale c’è qualcosa di insolito. Caradoc Trelease ha la pelle scura e gli occhi pieni di segreti. È davvero un nemico? O è solo un uomo con un obiettivo da perseguire senza pietà?

Caradoc la incollò al muro con il suo corpo, il petto contro il suo petto, una mano che le stringeva dolorosamente un polso.
«Non vuoi il tuo dolcetto, cara?».
«C-Caradoc, aspetta. Era una richiesta innocen-
«Non prendermi per il culo, okay?» la interruppe lui, schiacciandola ancora più forte. Sienna riusciva a sentire la barriera dura dei suoi muscoli pettorali, i bottoni della giacca, la sua coscia premuta sull’inguine…
Rabbrividì, scoprendosi eccitata come mai prima.
«Pensi che sia scemo? Che messaggio ha passato quell’inetto?».
«Non… non è coinvolto».
Trelease le strinse più forte il polso, le diede un altro spintone contro il muro e Sienna quasi gemette di piacere. Molto normale, davvero. Tutto sotto controllo.
«Io lo so che non è coinvolto. La polizia politica? Loro vogliono controllare per bene, e non dubitare che lo faranno».
Lei gli rivolse un sorrisino finto-compassionevole. «Uno in meno, no?».
Trelease le torse il polso fino a farla uggiolare di dolore. «Che messaggio ha passato?».
«N-niente di speciale, Caradoc. Che sono viva. Che sono qua. Che altro avrebbe mai potuto comunicare, presentandosi in un luogo e comprando una ciambella?».
Lui la scrutò in silenzio per diversi secondi. Lo vedeva, quanto era eccitata? Si rendeva conto che stava per mettersi a godere?
Come mai fosse ridotta così, Sienna non lo sapeva e non era sicura di volerlo sapere, ma come si sentiva era un fatto innegabile. Aveva la passera tutta bagnata, i capezzoli duri, il respiro affannoso.
«Chi è quella gente?».
Lei sorrise. «Suvvia».
«Se ti vedo di nuovo fare la civetta con uno dei miei uomini ti strappo la pelle a forza di frustate».
«Davvero? Sei così geloso?».
Per un attimo nei suoi occhi d’ambra passò un lampo di confusione. Poi rise e si allontanò di mezzo passo. Le lasciò andare il polso.

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Classificazione: 3.5 su 5.

Amnesia

Tess McKannon è appena uscita dal lavoro e sta per prendere la metro in una stazione centrale di Londra, quando viene travolta da un tizio che ha perso l’equilibrio sulle scale. A un esame più ravvicinato il tizio è un uomo elegante, alto belloccio… e ha un’espressione fin troppo confusa per essere solo stato spinto da qualcuno. Come Tess scoprirà di lì a poco, lo sconosciuto non ricorda più nulla, neppure il suo nome. Su una tempia ha una sbucciatura che suggerisce che abbia preso un forte colpo. Ma c’è qualcosa di strano. Attorno a “John K. Burke” ruotano personaggi equivoci della malavita internazionale e anche lui è convinto di non essere “una brava persona”. Qual è il segreto che nasconde? Se Tess vuole scoprirlo dovrà farlo a suo rischio e pericolo.

L’uomo che aggredì Tess la spintonò bruscamente e la fece quasi cadere a terra. Le strinse con forza i manici della borsa ed esclamò: «Ehi!».
Lui riuscì a recuperare l’equilibrio e la fissò con sguardo confuso.
«Mi scusi…» mormorò, e Tess si rese conto che non era un aggressore.
Invece era un tizio alto e magro, dal viso affilato ma non sgradevole, dall’aspetto serio e dall’abito di buona fattura. Indossava un cappotto leggero grigio scuro e aveva in mano il sacchetto di un negozio costoso. Un rivolo di sangue gli scendeva dalla tempia.
«Lei è ferito!» esclamò, preoccupata.
Lui si toccò la fronte, confuso. Ritirò la mano e osservò il sangue. Non sembrò stupito. Tirò fuori un fazzoletto da una tasca e si tamponò la ferita. Il sangue, fortunatamente, non era molto copioso.
«Che cosa le è successo?» chiese Tess. «Si sente bene?».
«Sì, grazie. Non ho idea di cosa sia successo, io…» sulla sua fronte si disegnò una ruga di concentrazione. «No, non riesco a ricordare». Aveva un accento americano.
«Probabilmente qualcuno le ha dato uno spintone… venga, forse è meglio che si sieda un attimo». Lo condusse verso il Pret a Manger che era subito fuori dai tornelli della metropolitana. Tess lo fece sedere su uno sgabello e lo osservò mentre si tamponava la tempia. Poi le venne un pensiero. «Credo che sia meglio che controlli di avere ancora il portafogli».
L’uomo si infilò una mano nella tasca interna della giacca.
«È qua,» disse.
«Come va, ora?»
«Meglio. È stata molto gentile, io… mi dispiace esserle piombato addosso così». Un lieve sorriso. «Come minimo avrà pensato a un maniaco. Mi scusi».
«Non lo dica nemmeno. Vuole che le vada a prendere qualcosa da bere? Un succo di frutta, un tè?».
Lui fece un cenno di diniego, sempre tamponandosi la tempia.
«Non ce n’è bisogno, grazie. Lei è già stata fin troppo gentile. Ora posso andare».
Si alzò e le tese la mano. Tess la strinse, un po’ dispiaciuta di non averne saputo di più su di lui. Sembrava un tipo interessante, con i bei vestiti e l’accento americano. Ma non poteva certo obbligarlo a farsi aiutare, no?
Lo salutò e tornò verso i tornelli della metro, tirando di nuovo fuori l’Oyster. Non seppe resistere alla tentazione di voltarsi un’ultima volta. Non c’era nulla di male, si disse. Se lui l’avesse vista gli avrebbe sorriso e l’avrebbe salutato con la mano.
Lo individuò davanti ai distributori automatici dei biglietti. Aveva un’aria spersa e dietro di lui si stava creando una coda di passeggeri ostili. Tess lasciò perdere per la seconda volta i tornelli e andò a salvarlo. Perché poi si stava dando tanta pena per quel tizio?
Perché era belloccio? Era davvero così frivola?
Be’, probabilmente sì, decise, avvicinandosi. «Mi scusi, non vorrei sembrarle invadente, ma è sicuro che vada tutto bene?».
Lui le rivolse uno sguardo smarrito. «Veramente no».

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Classificazione: 4 su 5.

Una gabbia dorata

Tra le Terre dell’Est e quelle dell’Ovest infuria la guerra da quasi due secoli. Quello che un tempo era un unico popolo si è diviso più volte. Da un lato gli elfi bianchi e quelli silvani, e i loro alleati umani; dall’altro gli umani dell’Est e tutte le specie che a Occidente considerano ripugnanti o pericolose: elfi neri, golbin, troll, orchi…
Elli Nakril è la figlia di un anziano del Consiglio dell’Ovest. È un’elfa silvana, una guerriera. Quando viene catturata e portata a Est sa che gli orientali la useranno come merce di scambio. Viene chiusa nella Cittadella della capitale dell’Est, prigioniera del loro odiato regnante: Syryt Thygarest, un mago oscuro, così magico da non sembrare neppure più umano.
Eppure… è proprio quell’uomo terribile a parlarle per la prima volta di pace. Della possibilità di mettere fine alla guerra e agli spargimenti di sangue. Le parla, la convice… la affascina. E la prigionia di Elli diventa piacevole, gli ideali di Syryt sempre più allettanti.
Ma nulla è facile. A ovest sospettano della buona fede dell’Est… e forse hanno ragione. Perché Elli inizia a rendersi conto di essere ancora in prigione, una gabbia dorata di cui è difficile persino scorgere le sbarre.

Thygarest era comparso accanto a me, seduto con le gambe accavallate, i capelli che si confondevano con il colore della notte e un’espressione divertita sul viso.
«Non danzerò» ribadii.
«No?» chiese lui. Scivolò ai miei piedi, inginocchiato come un pretendente, e mi sfilò le scarpe. «Tornerai a casa scalza, quindi» disse, rialzandosi e allontanandosi con le mie scarpe.
«Ridammele!» protestai, inseguendolo.
Lo rincorsi tra la gente che ballava. Thygarest non stava correndo, ma in qualche modo era sempre un paio di passi avanti a me. E io sentii l’erba fresca sotto i piedi e la danza mi travolse senza scampo.
«Dannazione» borbottai.
E iniziai a danzare.
Danzai e piroettai, saltai e svolazzai, lasciandomi invadere dalla primavera. La frenesia del risveglio si impadronì di me e iniziai a cantare la mia magia, risvegliando tutto ciò che avevo intorno. L’erba cresceva, sotto i miei piedi, e gli alberi mettevano nuove foglie, i fiori aprivano le corolle come se fosse l’alba e i rami si muovevano, sgranchendosi.
Il mio canto salì di volume, abbracciando tutto il parco, mentre danzavo e danzavo, completamente infiammata dalla primavera.
Sentii due mani prendermi per la vita, alle mie spalle. Sapevo che solo una persona avrebbe potuto farlo, in quel momento, mentre tutta la mia natura era dispiegata attorno a me. Mi voltai e infatti era Thygarest.
Danzò con me. Fu… stranissimo.
La sua magia si intrecciò alla mia, si fece simile alla mia e anche lui cantò il risveglio. Non so che cosa vide la gente che avevamo attorno. Una coppia che ballava una strana danza fluttuante, forse. Tutto si fece intenso, profumato, sensuale. Il risveglio mi sciolse le gambe e i fianchi, riempiendomi del piacere così particolare della rinascita.
Fu come fare l’amore. Thygarest doveva capirlo e assecondò quell’onda languida.

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Classificazione: 4 su 5.

Ladri e conigliette

Sevil sta tornando a casa dal lavoro, quando viene aggredita da tre malviventi. È notte, vive in un brutto quartiere e sembra che le cose si metteranno male, per lei. Ma all’improvviso spunta dal nulla un uomo. Minaccia gli aggressori con una pistola, la aiuta a tornare a casa. Potrebbe sembrare una specie di angelo, se non le confessasse subito di essere in realtà un ladro con la polizia alle costole. Visto che l’ha appena salvata, Sevil accetta di nasconderlo. Solo più tardi scoprirà che il bel Kael non è solo un ladro di gioielli, è anche nei guai con un malavitoso locale. E che quello che è nato tra loro in un momento di incoscienza molto difficilmente avrà un futuro…

«Sevil?».
Era la voce di Kael, il mio rapinatore custode. Be’, in un quartiere come quello probabilmente era anche meglio di un angelo. «Ora esco» mormorai. Le mie parole si persero nello scroscio dell’acqua. In realtà non ero molto sicura di riuscire a rialzarmi.
La porta si aprì e la tendina venne scostata.
Kael chiuse il getto dell’acqua e mi aiutò a mettermi in piedi.
«Dovevo saperlo che saresti andata K.O.» disse, in tono gentile. «Va bene questo accappatoio?».
Annuii. Era il mio accappatoio. Era verde e un po’ spelacchiato. Kael mi aiutò a indossarlo e mi tirò su il cappuccio, stringendomi bene la cintura in vita.
«S-scusa, non…» balbettai.
«No, è normale. Quando ti rendi conto che stavi per morire fa uno strano effetto. Il mio palo… gli hanno sparato. Credo che sia morto». Mi asciugò i capelli con il cappuccio, strofinando forte. «Se non lo dicevo a qualcuno impazzivo» aggiunse.
Lo guardai nello specchio, nelle zone non appannate dal vapore. Era pallido e sudaticcio. Sembrava sconvolto e spaventato. «O-okay» dissi.
Mi voltai verso di lui e lo guardai direttamente, senza sapere bene che cos’altro aggiungere. Nel mio bagno c’era troppo caldo e troppo poco spazio. Eravamo praticamente incastrati tra la doccia e il lavandino. Mi alzai sulla punta dei piedi e lo baciai. Mentre lo facevo mi chiesi: Sevil, che cavolo ti salta in testa? Ma continuai a farlo, persino con una certa prepotenza, stringendo il maglione di Kael con entrambe le mani.
Lui allontanò la bocca di qualche centimetro, con in viso un’espressione confusissima. «Ma sei sicura?» chiese, in tono stranito.
Annuii e lo tirai verso di me. Lo baciai ancora più furiosamente, finché non cominciò a baciarmi a sua volta. Sembrò che volessimo mangiarci la bocca a vicenda. Gli strattonai il maglione verso l’alto, cercando di toglierglielo. Kael collaborò non appena capì quello che stavo facendo. Mi strinse i fianchi. Poi sembrò sbloccarsi e partire sul serio. Mi infilò una mano tra i capelli ancora bagnati, tirandomi verso di sé. Mi slacciò l’accappatoio e mi palpò una natica, schiacciandomi contro il lavandino.

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Classificazione: 4 su 5.

Fratelli

L’assassino seriale soprannominato dalla stampa “il Vampiro” uccide impunito da quasi dieci anni, appendendo le sue vittime a testa in giù e dissanguandole. Ma gli uomini che uccide si sono tutti macchiati del crimine più osceno: sono molestatori di bambini. Per questo motivo c’è chi crede che il Vampiro non vada neppure punito, visto che in un certo senso rende le strade più sicure.
Ora, però, un nuovo indizio mette i suoi delitti in un’altra luce. Il DNA del Vampiro compare anche su altre scene del crimine, e questa volta le vittime sono giovani donne innocenti.
Per fermare finalmente il mostro, l’FBI si avvale di una consulente fin troppo chiacchierata. Almond Holt, la profiler figlia di un assassino. Grazie alla sua sensibilità unica e talvolta disturbante, Almond si avvicina alla verità… una verità oscura, che affonda le radici nel passato doloroso di due fratelli. A distinguere le vittime dai carnefici avrà solo la sua coscienza…

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Classificazione: 1 su 5.

Educazione sentimentale di un rapinatore di banche

Dale Carter ha già rapinato trentaquattro banche quando entra nella vita di Robin Hare. È il criminale più conosciuto d’America, il nuovo Dillinger, una specie di star. La gente impazzisce per lui, le ragazze agli sportelli gli chiedono l’autografo durante le rapine. Robin ha appena finito la scuola di giornalismo e si trova coinvolta suo malgrado nella vita di Dale. Coinvolta anima e corpo, per così dire. Lentamente, si rende conto che il sex symbol che tutti adorano è braccato da anni, non può uscire dal covo in cui si nasconde in quel momento senza correre il rischio di essere riconosciuto e catturato, non ha una vita sessuale degna di questo nome e ormai è stanco di scappare. Solo che… come può risolversi, una carriera come la sua? Sembra inevitabile finire ammazzato o arrestato. A meno di non avere un piano davvero audace…

Mi lavai un po’ usando il bagnoschiuma che era nella piccola doccia. Supponevo che fosse di Carter, visto che sembrava nuovo e aperto da poco. L’acqua era tiepida e in un certo senso fu tutto piacevole.
Unico problema: non c’erano asciugamani.
Aprii la porta di uno spiraglio. «Dale!» chiamai.
Lui arrivò di corsa, a petto nudo. «Stai bene?».
«Sì, sì, solo che non ci sono asciugamani e sono tutta…»
«Preferisco non sapere» mi interruppe lui. «Aspetta. Ti porto qualcosa».
Restai lì, in piedi, in mutande, con il pezzo di sopra del mio pigiama in mano, il torso bagnato e la pelle d’oca dappertutto.
Carter tornò con un rotolo di scottex. «Cioè, sul serio non c’è…»
«Non lo so, dolcezza. Non ho guardato bene. Voglio dire, non ho guardato dappertutto». Sospirò. «Voglio dire: non ho guardato. Ma comunque in realtà ho guardato. Adesso ti dispiacerebbe chiudere questa porta?».
Ridacchiai e lo chiusi fuori.
«Non è divertente!» lo sentii lamentarsi, nel corridoio.
Mi asciugai usando lo scottex, per poi rimettermi il pezzo di sopra del pigiama. Riaprii la porta e Carter era appoggiato al muro a braccia conserte.
«Volevo andarmene sdegnosamente, ma poi ho pensato che devo riportarti a letto». Chiuse gli occhi e sospirò. Li riaprì. «Ora mi passa. Non sono pericoloso».
Risi di nuovo. «Sei carino. E forse ora riesco a camminare. Se mi sorreggi un po’».
Gli passai un braccio sopra alle spalle e lui praticamente mi sollevò. Emisi un urletto. Mi portò fino in camera da letto, dove mi riappoggiò delicatamente a terra.
«Sei carino davvero» dissi, con un sorriso grato. «Il premuroso rapinatore».

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Classificazione: 4 su 5.

Il nemico

Da quattro anni la Namdvara è sotto il giogo degli invasori di Dhenes. La conquista delle placide vallate namdvariane è stata brutale e i nemici non hanno risparmiato efferatezze e violenze. Quando uno degli invasori, durante una tempesta, entra in una locanda e trascina con sé in una camera una viaggiatrice, Radina, tutti pensano al peggio… ma nessuno fa nulla per difenderla. In realtà Alek, il nemico che l’ha obbligata a seguirlo, è solo ferito. A gesti le fa capire di aver bisogno del suo aiuto e Radina non riesce a rifiutarsi curarlo. Il corpo di Alek, snello e muscoloso come quello di un cane da caccia, la riempie di turbamento. Il giorno dopo ognuno se ne va per la sua strada, ma il gruppo di viandanti con cui viaggia Radina viene assalito da dei banditi. Nel frattempo nelle pacifiche valli di montagna è scoppiata la ribellione e gli invasori vengono cacciati. Alek dovrebbe combattere con i suoi uomini, ma si trova di nuovo davanti la ragazza dagli occhi gentili che l’ha aiutato nonostante fosse il nemico… e ora è lei ad aver bisogno di aiuto…

«Aspetta» le disse.
La sorresse per il braccio sano e la aiutò a sedersi.
Andò a prendere i vestiti che si era procurato per lei. L’aria del mattino era ancora fredda, così Radina non si liberò del tutto della coperta, mentre lui la aiutava a indossarli. Quel vedere-e-non-vedere del suo corpo bianco e sodo fece affluire con prepotenza il sangue all’inguine di Alek, come in precedenza non gli era mai successo, neppure quando l’aveva vista completamente nuda.
Continuò a comportarsi come se nulla fosse, sperando che lei non se ne accorgesse.
Radina, da parte sua, fece ben attenzione a non dimostrare di averlo notato, ma le tornò in mente l’immagine del corpo bruno di lui e l’idea, con suo vago sconcerto, la riempì di languore.
Quando lei fu vestita, Alek la accompagnò fino all’asino. Radina immaginò che si fosse liberato del cavallo perché lo identificava subito come soldato nemico. Per lo stesso motivo, notò, Alek aveva arrotolato strettamente il proprio mantello di pelle e ne aveva indossato un altro di tela grigia.
Radina lo tirò per un gomito e lui si voltò dalla sua parte.
«Cosa?» domandò, spazientito.
Lei posò la mano sul pomo della spada di lui.
Alek chiuse gli occhi. «Ah, dannazione».
Radina gli slacciò il cinturone. Aveva ragione lei, ovviamente, la spada l’avrebbe tradito. Ma in quel momento sentire le sue mani sulla fibbia gli procurò una seconda fitta di desiderio, dolorosa e improvvisa. Non riaprì gli occhi. Aspettò solo che lei finisse.

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