Unfit Vol. 5: Brian

Un dandy in ritirata

«Vi siete riavvicinati?»
«No. Ma siamo d’accordo nel produrre un erede».
«Che cosa potrebbe mai andare storto».

È il 1899, Brian ha trent’anni e gli sembra di aver già vissuto tre vite, in nessuna delle quali se l’è cavata molto bene. Nella prima ha gozzovigliato in tutte le bettole di Londra – e anche in diversi esclusivi club di St. James – e ha ucciso per sbaglio un uomo durante un litigio. Nella seconda, la sua amante e la figlia frutto della loro unione sono morte di febbre. Nella terza ha viaggiato per tutto l’Oriente, senza riuscire a rimettere insieme i pezzi della sua vita.
È sicuro di essere maledetto da Dio, ma anche i dannati, prima o poi, devono rispondere alle consuetudini e ora che è tornato a Londra c’è un dovere a cui non può più sottrarsi: produrre un erede per la casata dei Northdall. L’unico problema è che sua moglie Emily non sembra molto ansiosa di partecipare all’impresa. Sarà forse perché Brian dopo il matrimonio l’ha a stento considerata? O perché l’ha abbandonata per dieci anni? Cornificata in lungo e in largo? Ha avuto un’intera famiglia illegittima mentre lei lo aspettava a casa? L’elenco dei suoi peccati è parecchio lungo, ma un erede va messo in cantiere. Sta a Brian capire come convincere sua moglie. A costo di piegarsi a ogni idea balzana, consiglio medico stravagante e alle predizioni della cartomante di Emily.

Unfit è una serie sulle disavventure di alcuni rispettabilissimi gentiluomini, che alla vita non chiederebbero altro che pace, tranquillità e le sacrosante gioie del patriarcato, ma ormai è il 1899, queste maledette donne emancipate sono dappertutto, come un’invasione di locuste, e sono tramontati i tempi migliori in cui gli uomini erano uomini e le mogli piante da interno. Non c’è più pace per nessuno.

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Classificazione: 2 su 5.

Smooth Operator

Sesso & Potere 6

Leon Snider, il nuovo comandante dell’Unità Antiterrorismo della capitale delle Svetlands, al suo insediamento non è il benvenuto. Nel suo passato c’è una strage in cui è morta buona parte della sua squadra e nessuno dei suoi uomini lo vuole come capo. Cassandra Milton meno degli altri. Per lei, resa orfana da una bomba, l’Unità Antiterrorismo è come una famiglia e non ha nessuna intenzione di aiutare quello che considera soltanto un assassino di poliziotti. Ma Snider è un personaggio particolare: ambiguo, affascinante, senza scrupoli e con un senso dell’umorismo nerissimo. Tutti lo odiano, ma è difficile non essere presi nella sua rete. Per di più si avvicina il giorno del matrimonio del cancelliere, l’allarme terrorismo è massimo e sembra che solo Snider sia in grado di fermare la cellula di estremisti che minaccia la città. Cassandra sarà costretta a prestarsi al suo gioco, per un bene superiore. Ed è poi così malvagio, il comandante Snider? O nasconde un segreto di stato che non è libero di rivelare?

Lunedì mattina alle dieci fu convocata al Marshal da Snider. La sua telefonata fu breve e brutale: «Visto che non vuole perdersi la minima opportunità di farsi uccidere, stiamo per effettuare una ricognizione. Se arriva entro un quarto d’ora, l’aspettiamo».
Cassandra arrivò in dieci minuti.
Aveva un modo infallibile per aggirare il sempiterno traffico di Garamantia: viveva a dieci metri dalla metropolitana, sulla linea gialla che aveva una fermata proprio alle spalle del Marshal.
Si presentò in armeria con la tuta operativa già addosso.
Snider aveva la metà superiore della sua ancora abbassata. Sotto portava una t-shirt blu della polizia, molto decente, ma anche piuttosto attillata. D’altronde a nessuno piaceva trovarsi una t-shirt troppo larga appallottolata sotto la tuta, era scusabile, ma Cassandra avrebbe fatto a meno di riuscire a contare i bugni dei suoi addominali. Nell, al contrario, si stava chiaramente godendo lo spettacolo.
«È venuta in elicottero, Milton?» disse lui, con un mezzo sorriso divertito.
«Metro».
«È davvero senza paura».
Si infilò una manica e controllò la mitragliatrice MP5, prima di finire di chiudersi la tuta e passarsela a tracolla. Non si poteva negare che fosse piacevole alla vista.

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Come febbre

Durante un attacco non riuscito alla fortezza dell’Imperatore Bianco, Selina, combattente della casta delle guerriere, viene sbalzata a chilometri di distanza da una magia dei suoi stessi alleati. Con lei, l’imperatore stesso. Dispersi in un territorio freddo e ostile, infestato da molti pericoli, si rendono conto che sopravvivere potrebbe rivelarsi difficile, se non impossibile. Con la morte che incombe, cercano conforto l’uno nelle braccia dell’altra, pensando di non superare la nottata. Le conseguenze di quella notte diventano evidenti nove mesi più tardi, quando ognuno è tornato alla sua vita. L’imperatore scoprirà che suo figlio, il suo erede, è nato tra i suoi nemici e che la donna con cui ha affrontato la morte è ormai, e di nuovo, a sua volta una nemica. Sa di non poterle dimostrare alcuna pietà, né lei potrà perdonarlo per le sue azioni, ma la particolare febbre sensuale che c’è tra loro non si è mai sopita…

Johan la scosse con la punta di uno stivale. «Non ti addormentare così. Morirai».
«Ho freddo» rispose Selina, con voce debole.
L’altro si stiracchiò. «Sì, anch’io». Si allungò davanti a lei e la tirò verso di sé. Intrecciò le gambe alle sue, mentre Selina gli si accoccolava sul petto.Per qualche minuto non cambiò nulla, poi iniziò a sentire un vago tepore. Il panciotto di raso di lui iniziò a essere tiepido, come i suoi pantaloni.
«Sei fredda come una rana» disse Johan. Sbuffò e armeggiò con la propria cintura. «Così non basta. Stai ferma. O, anzi, meglio: divincolati».
Selina ci mise mezzo secondo a capire che cosa stesse succedendo, non di più. In quel mezzo secondo l’altro le salì sopra e le allargò le cosce con i fianchi.
«Non ci provare» ringhiò lei.

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