L’harem sull’82esima Strada

La carriera di Addison come fotomodella sta andando a picco. A soli ventinove anni lo spietato meccanismo delle agenzie di moda sta per espellerla e lei non sa che cosa fare della sua vita. Viene da una relazione difficile, non è mai stata così lanciata da avere un granché da parte, è demotivata e si sente senza valore. Per questo quando le propongono delle foto erotiche per un ricco committente anonimo si trova ad accettare. Dopo le foto viene un filmato, e dopo il filmato una proposta sconvolgente: diventare una delle sette professioniste sul libro paga del misterioso Signor K, professioniste destinate a intrattenerlo dal punto di vista sessuale, in cambio di una sistemazione di lusso e di una paga più che congrua.
Il Signor K è il rampollo di una dinastia industriale e ha da poco subito un grave lutto. È cinico, insensibile, maschilista… ma almeno non è brutto e le cose, con lui, sono sempre chiarissime. Addison scopre che accontentarlo non è difficile e che la vita con le sue nuove “colleghe” non è poi male. E l’autista del Signor K, Joel, ha una faccia da criminale, ma un animo pulito… sarà forse lui a insegnarle di nuovo a volersi bene?

Non mi aspettavo che mi venisse ad aprire Mayer in persona. Cioè, il Signor K.
Fermo sulla porta, mi squadrò da capo a piedi. Era vestito in modo informale, con un dolcevita scuro e dei pantaloni sportivi.
«Addison» disse. «Felice di conoscerti. Puoi chiamarmi Signor K».
Bene, bene, mettiamo subito i dipendenti a loro agio, eh?
«Sì, Signor K».
Mi fece segno di seguirlo all’interno. Era un appartamento enorme, in penombra.
«Non è la mia residenza di famiglia, è chiaro. È un posto riservato che tengo per i momenti di svago. Tu sei un momento di svago, si spera». L’ultima frase l’aveva detta con un sospiro un po’ infastidito.
Cominciamo benissimo.
«Si spera» confermai.
Entrammo in un salone. 
«È tutto bellissimo» mi sentii in dovere di dire.
«Sì? Sono felice che ti piaccia. Ora dovresti spogliarti».
Restai interdetta. Mi aspettavo un approccio più soft, forse. Oddio, non so che cosa mi aspettassi, ma non un invito a spogliarmi appena entrata in casa.
Comunque fosse… era quello per cui mi pagava, no? L’idea di andare a letto con lui non mi sorrideva in modo particolare, ma avevamo detto che potevo tirarmi indietro quando volevo… giusto?
Lasciai la mia giacca leggera su un divano. Poi mi sfilai le scarpe a tronchetto, la maglia, la gonna… iniziavo a essere in imbarazzo, anche perché K, lì, era rimasto vestito.
Fece una cosa strana. Prese un cuscino dal divano e lo buttò per terra, su un tappeto persiano sui toni del bordeaux. Non capii subito che cosa volesse.
Poi ci arrivai.
«Oh» dissi. «Scusi».
Mi inginocchiai sul cuscino. Così com’ero, in slip e reggiseno. Era tutto piuttosto inquietante.
K si avvicinò a me e mi trovai il cavallo dei suoi pantaloni davanti alla faccia.
Non mi diede una buona sensazione. Era troppo intimo, iniziare con una fellatio. Capivo che mi pagava per fare quello che andava a lui, ma non ero solo un buco da fottere. Ero una sua dipendente… e ai dipendenti devi anche mostrare un po’ di rispetto, no?  Potevo alzarmi e andarmene – vaffanculo i soldi.
Ma K non se lo tirò fuori. Mi posò una mano sulla testa e mi accarezzò i capelli come se fossero il pelo di un animale domestico.

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Classificazione: 4.5 su 5.

Il cavaliere del fiume

Kingdom of Nowhere 2

Patrick Dubois è uno sbirro figlio di uno sbirro. Nella vita ha sempre e solo voluto fare il detective nella polizia della sua città, Montreal. Quando si ritrova all’improvviso nel 1413, nella Francia dilaniata dalla Guerra dei Cent’Anni, quindi, non ne è certo felice. Per di più compare in un fiume, dove rischia di affogare. Per fortuna viene soccorso da un tizio vestito come un cosplayer del Signore degli Anelli e… niente, alla fine deve rassegnarsi all’idea di essere stato sbalzato indietro nel tempo. E la Francia medievale è un posto pericoloso, come scopre quasi subito, quando si trova a soccorrere due sorelle la cui carovana è stata assalita da un gruppo di briganti. Le loro strade si separano quasi subito, mentre Patrick finisce per diventare un cavaliere e combattere contro gli inglesi, ma alla sorella maggiore, Rachelle, continua a pensare per un pezzo. Finché, finalmente sistemato e padrone di un fazzoletto di terra, non può tornare a cercarla…

«Ma sul serio credete a quella faccenda del disperdere il seme?».
Lei chiuse gli occhi. Si coprì la faccia con una mano. «Non lo so. Come donna sono un fallimento. Sono stata sposata quattro anni e non sono stata capace di procreare un figlio. Mio marito mi odiava. Perché ne sto parlando a voi?».
«Perché sono un dolcetto ai canditi, così mi ha definito Pierre».
«Dovrei confessarmi» sospirò. «Ho peccato così tanto, dentro di me».
«Sì?».
«Ho pensato… in fondo non è stato peggio del solito, ieri l’altro. E almeno ho potuto lottare. È imperdonabile pensare cose del genere del proprio sposo appena morto, non credete?».
Mi veniva da piangere. Le passai un braccio sopra le spalle e la costrinsi quasi a posarmi la testa sul petto. «Aveva ragione Pierre. Dovevamo lasciarvi in quel mulino».
«Perché dite così, ora?».
Non la mollai. Lei se ne restò contro il mio petto, ma senza rilassarsi. Sempre in guardia.
«Nella mia epoca… come spiegarvi? Pensavo di aver visto di tutto. Omicidi, stupri, rapimenti, rapine, violenze domestiche, criminalità organizzata, attacchi di follia… ma la vostra epoca, la vostra epoca è una scena del crimine a cielo aperto».
«Che cos’è…»
«Shh. Non è niente. E sono contento che vostro marito sia schiattato male. Il pensiero non mi dà nessun senso di colpa».
«Perché…»
«Perché nemmeno dovreste chiederlo, “perché”. Quindi, da brava. Avete avuto dei pensieri realistici, sì. Per un attimo avete dimenticato le balle di un’educazione repressiva. Vi assolvo, pregate pure che quella merda marcisca all’inferno».
Per un attimo Rachelle restò senza parole, credo. Poi rise sottovoce e disse: «Mi sa che avete bevuto troppo».
«È possibile».
La lasciai andare.
«Volevate rivedere la pistola» dissi, tirandola fuori dalla fondina.
Rachelle se la rigirò tra le mani. «È pesante. È come… troppo rifinita e nel contempo rifinita in modo strano». Me la restituì senza neppure accarezzare il grilletto. Non aveva del tutto idea di come funzionasse. «Il vostro racconto è difficile da credere».
«Lo so».
«Ma bisogna ammettere che siete diverso». Si alzò con una smorfia di dolore. «Saranno i canditi».

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Classificazione: 4 su 5.

Tutto per una ragazza “facile”

Lila si è trovata una strana professione: fa recensioni piccanti su You Tube. D’altronde nell’area di New York, per una ragazza laureata da poco in giornalismo non ci sono molte opportunità di lavoro stipendiate decentemente… e il suo canale ha moltissimi follower.
Un giorno come tanti, in un’estate soffocante come solo a Brooklyn, il suo pigrissimo gatto decide di fuggire e di restare intrappolato su un albero. Lila lo insegue ancora vestita da casa, una vicina impicciona chiama i vigili del fuoco e queste sono le imbarazzanti circostanze in cui incontra Jackson, un uomo che sembra scappato da una pubblicità di intimo maschile. La sua amica Sally lo definisce all’istante “un manzo esagerato”, ma Jackson non è solo questo: il suo matrimonio è agli sgoccioli e ha paura di come potrebbe prendere un divorzio sua figlia di sette anni. In un momento del genere le donne proprio non gli interessano, ma Lila ha qualcosa di diverso, qualcosa che lo attrae che lo voglia o meno.
E non conta nulla che lei non abbia nessuna intenzione di avere a che fare con un uomo ancora formalmente sposato, non conta neppure che lui non stia cercando una relazione… quando la scintilla scocca è difficile ignorarla. Nonostante i problemi, i sensi di colpa e il cattivo tempismo.

«Che manzo esagerato» commentò Sally mentre lui si allontanava, a voce bassa per non farsi sentire.
Mentre ognuna delle donne in piedi attorno all’albero – e di sicuro anche qualche uomo – si scioglieva nella sua personale nuvoletta di endorfine, il pompiere moro saltò sul camion e iniziò ad arrampicarsi sulla scala. Il gatto George lo guardò con profondo sospetto e si voltò per mostrargli il suo lato B. O, più probabilmente, per cercare una via di fuga che gli risparmiasse l’umiliazione di essere preso in braccio da uno sconosciuto.
Non ne trovò e il pompiere lo sollevò delicatamente, tenendolo nell’incavo di un braccio come un pupo peloso e dagli occhi a fessura. George se ne restò buono.
Il suo salvatore ridiscese la scala tenendosi con una mano sola, saltò giù dal camion e tornò verso di me. Non so perché, ma il tempo sembrò rallentare. Okay, magari lo so anche, perché.
Diciamo che mentre George mostrava a tutti il suo lato B peloso, il suo pubblico si era un po’ distratto guardando il lato B del pompiere. Era un ottimo lato B.
«Ecco qua l’arrampicatore» annunciò lui, con un sorriso divertito.
Si avvicinò per farmi prendere George, il quale pensò bene di aggrapparsi al suo braccio con le unghie.
Chiusi gli occhi e sospirai, mortificata.
«Se potesse staccarlo…» disse lui.
Staccai entrambe le zampette di George dai bicipiti del pompiere.
«Mi dispiace davvero moltissimo, mi creda».
Lui si guardò il braccio. «Nessun danno».
Era parecchio più alto di me e per passarmi George si sporse sopra la mia spalla destra. Sentii una goccia cadermi su una clavicola e poi scivolare giù, tra i miei seni, e mi resi conto che era una goccia del suo sudore.
Presi il gatto. Il pompiere mi sembrò imbarazzato.
«Mi… dispiace» borbottò.

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Classificazione: 5 su 5.

La danza dei cent’anni

Kingdom of Nowhere 1

Comincia tutto con una grande luce. Audrey Clark, detective della polizia di Montreal, un attimo prima sta inseguendo un sospetto di omicidio e un attimo dopo si trova in un villaggio dall’aspetto antico, medievale. La gente la spinge verso una piazza e qua… un rogo è stato preparato per una ragazza vestita di bianco. Audrey pensa di essere morta, di essere in coma, di avere un’allucinazione; tutto è più credibile della realtà: è nel 1431, in Francia, e a quanto pare la Guerra dei Cent’Anni per lei non è più solo una nozione storica. Il suo involontario compagno di viaggio è Heraut d’Aubert, uomo orgoglioso e permaloso, che però sembra in grado di superare i pregiudizi del suo tempo e fidarsi di una donna…

Non so quanto tempo rimasi accucciata lì, sulla riva del fiume. So solo che a un certo punto qualcuno mi tirò su per le ascelle e mi fece allontanare. Ripresi a sentire: i miei stessi singhiozzi, le mie stesse parole smozzicate.
Heraut mi abbracciò. Indossava la coperta come una specie di peplo romano.
«Madame Audrey… che cosa vi succede, all’improvviso? Perché l’anno in cui siamo vi addolora così tanto?».
Tirai su con il naso. «Non mi credereste».
«Mettetemi alla prova».
Lo guardai. Mi accigliai. «Dovevate restare fermo. Siete ferito».
«Bene, non l’ho fatto. Ora ditemi che cosa vi turba così tanto. Vi crederò».
«Sono nata nel 1985. Ieri mattina mi sono svegliata nel mio presente, il 2018. Poi c’è stata una luce bianca fortissima… mi sono trovata qua».
Heraut non si mise a ridere.
Come avrei scoperto in seguito, era il genere di persona che capisce in fretta le cose e che prende in fretta le sue decisioni, se necessario, ma sempre concedendosi un attimo per ponderare a mente fredda.
Mi fissò per quasi un minuto, pensieroso. Toccò la stoffa del mio giaccone, su una manica. Fece scorrere un dito lungo la cerniera, mosse il tiretto su e giù. Non appena ne comprese il meccanismo, mi aprì la giacca. Osservò le tasche interne, la fondina ascellare, il maglioncino aderente che avevo sotto. Ne toccò il filato, in basso, vicino a uno dei miei fianchi. Studiò i miei jeans elasticizzati senza toccarli, poi i miei stivali.
«Le vie del Signore sono misteriose, sapete. Sì, vi credo. Comunque non penso che sia impossibile».

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Classificazione: 3 su 5.

Ladri e conigliette

Sevil sta tornando a casa dal lavoro, quando viene aggredita da tre malviventi. È notte, vive in un brutto quartiere e sembra che le cose si metteranno male, per lei. Ma all’improvviso spunta dal nulla un uomo. Minaccia gli aggressori con una pistola, la aiuta a tornare a casa. Potrebbe sembrare una specie di angelo, se non le confessasse subito di essere in realtà un ladro con la polizia alle costole. Visto che l’ha appena salvata, Sevil accetta di nasconderlo. Solo più tardi scoprirà che il bel Kael non è solo un ladro di gioielli, è anche nei guai con un malavitoso locale. E che quello che è nato tra loro in un momento di incoscienza molto difficilmente avrà un futuro…

«Sevil?».
Era la voce di Kael, il mio rapinatore custode. Be’, in un quartiere come quello probabilmente era anche meglio di un angelo. «Ora esco» mormorai. Le mie parole si persero nello scroscio dell’acqua. In realtà non ero molto sicura di riuscire a rialzarmi.
La porta si aprì e la tendina venne scostata.
Kael chiuse il getto dell’acqua e mi aiutò a mettermi in piedi.
«Dovevo saperlo che saresti andata K.O.» disse, in tono gentile. «Va bene questo accappatoio?».
Annuii. Era il mio accappatoio. Era verde e un po’ spelacchiato. Kael mi aiutò a indossarlo e mi tirò su il cappuccio, stringendomi bene la cintura in vita.
«S-scusa, non…» balbettai.
«No, è normale. Quando ti rendi conto che stavi per morire fa uno strano effetto. Il mio palo… gli hanno sparato. Credo che sia morto». Mi asciugò i capelli con il cappuccio, strofinando forte. «Se non lo dicevo a qualcuno impazzivo» aggiunse.
Lo guardai nello specchio, nelle zone non appannate dal vapore. Era pallido e sudaticcio. Sembrava sconvolto e spaventato. «O-okay» dissi.
Mi voltai verso di lui e lo guardai direttamente, senza sapere bene che cos’altro aggiungere. Nel mio bagno c’era troppo caldo e troppo poco spazio. Eravamo praticamente incastrati tra la doccia e il lavandino. Mi alzai sulla punta dei piedi e lo baciai. Mentre lo facevo mi chiesi: Sevil, che cavolo ti salta in testa? Ma continuai a farlo, persino con una certa prepotenza, stringendo il maglione di Kael con entrambe le mani.
Lui allontanò la bocca di qualche centimetro, con in viso un’espressione confusissima. «Ma sei sicura?» chiese, in tono stranito.
Annuii e lo tirai verso di me. Lo baciai ancora più furiosamente, finché non cominciò a baciarmi a sua volta. Sembrò che volessimo mangiarci la bocca a vicenda. Gli strattonai il maglione verso l’alto, cercando di toglierglielo. Kael collaborò non appena capì quello che stavo facendo. Mi strinse i fianchi. Poi sembrò sbloccarsi e partire sul serio. Mi infilò una mano tra i capelli ancora bagnati, tirandomi verso di sé. Mi slacciò l’accappatoio e mi palpò una natica, schiacciandomi contro il lavandino.

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Classificazione: 4 su 5.

Le terre ardenti

Una Grande Onda ha sommerso l’umanità, uccidendo nove decimi della popolazione mondiale e lasciandosi dietro poche comunità isolate che fanno quel che possono per sopravvivere in un ambiente ostile. Lara sta cercando rottami riutilizzabili nel grande “cimitero delle macchine” a pochi chilometri dal suo insediamento, quando scorge un pericolo imminente. Sulla Tavola Ardente infuria una tempesta di sabbia, ma lei deve tornare indietro comunque, per avvisare la sua gente. È Skylar che la salva dalla morte, avvistandola dalla cima dell’altoforno in cui vive. Nel loro insediamento lo chiamano l’Eremita perché esce raramente e passa il tempo a progettare nuovi sistemi per coltivare la loro terra arida e proteggere la loro baraccopoli dai razziatori. Come molti dei sopravvissuti all’Onda, anche lui è ferito nel corpo e nell’anima, ma non si è ancora arreso. Forse è questo ad attirare Lara sempre di più, nonostante abbia già un compagno. È l’inizio di un’avventura pericolosa che porterà Lara e Skylar a superare i confini del loro mondo, verso una difficile rinascita…

Sentirono i passi del razziatore che si allontanavano.
Nel loro angusto nascondiglio, Skylar le accarezzò la testa. Le strofinò la guancia su una guancia e Lara sentì che era bagnata. Solo dopo un attimo si rese conto che le lacrime erano le proprie.
«Shh… shh…» sussurrò lui. «Aspettiamo che tornino indietro, prima di uscire».
Lara annuì. La sua presa sul torace di lui si allentò un po’. I suoi muscoli si rilassarono leggermente. Erano stretti l’uno all’altra, le gambe intrecciate, le guance a contatto. Lara dubitava di essere mai stata così appiccicata a un altro essere umano. Neanche quando faceva l’amore aderiva in quel modo al corpo dell’altro. Be’, di Arvid, per lo più. Non era una che accendesse un granché le fantasie maschili, quindi negli ultimi tempi Arvid era stato l’unico volontario.
«Non ti preoccupare. Al ritorno saranno ancora meno attenti» mormorò Skylar, nel suo orecchio.
«Sì» sospirò lei. Nient’altro.
Fino a pochi minuti prima la paura la paralizzava, ma ora iniziava a percepire di nuovo il mondo. Il corpo di lui stretto al proprio, il suo odore, il suo respiro… forse avrebbe dovuto allontanarsi un po’, ma non voleva farlo. La sua pancia dura era così gradevole, sulla propria. La sensazione dei piccoli seni che premevano sul suo petto…
Ma che cacchio vai a pensare? Fino a tre secondi fa stavi per fartela addosso e ora vorresti strusciarti tutta?
Skylar continuava ad accarezzarle un fianco, tranquillizzante, e Lara chiuse gli occhi e si abbandonò alla sensazione. Le sue dita sopra la stoffa della casacca… poi sotto, sulla pelle morbida della vita… carezze leggere, impalpabili…
Dio, si rendeva conto che la stava attizzando a morte?
Le sue dita continuavano a toccarla… accarezzarla… lisciarla… senza mai allontanarsi dal suo fianco, senza salire verso i seni o scendere… Dio, come avrebbe voluto che scendessero…

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Classificazione: 3.5 su 5.

Tra le braccia di uno sconosciuto

È una giornata di pioggia e Pete sta fumando una sigaretta fuori dall’officina dove lavora, quando gli corre addosso una ragazza. Skye, fradicia, piangente, disperata, con mille sacchetti dello shopping in mano e un aspetto “costoso”.
Pete le offre di usare il bagno dell’officina per asciugarsi e di chiamarle un taxi. Skye si stringe a lui e lo bacia, quasi lo costringe a fare l’amore con lei. Lì, su due piedi. Pete pensa che sia matta, ma è anche bellissima… la asseconda. Subito dopo lei scappa via, riprendendo tutti i suoi sacchetti tranne uno. Pete si ritrova con una gran confusione in testa e una borsetta di marca da restituire a quella sconosciuta fuori di testa. Ma lo è davvero? In qualche modo Pete sente che Skye è molto diversa dalla donna disperata che ha incontrato quel giorno sotto la pioggia…

Le aprì la porta del piccolo bagno.
«Ci sono degli asciugamani puliti in quell’armadietto» spiegò.
Lei si decise a rivolgergli un sorriso. Un sorriso incantevole, in realtà, fatto di denti bianchi e perfetti. «Grazie. Sei gentile. Io sono Skye».
«Io Peter. Cioè, in realtà sarebbe Petre, ma tutti mi chiamano Peter».
Skye prese un asciugamano, lo esaminò per qualche secondo con vago scetticismo, e iniziò a strofinarsi i capelli.
«Petre. Perché?».
«Sono nato in Georgia».
Lei aggrottò le sopracciglia. «Non sapevo che in Georgia…»
Peter rise. «Non la Georgia americana. Quella europea».
«Ah». E poi: «C’è una Georgia anche in Europa?».
Lui rise di nuovo. «E già. Anche se è un po’ in Asia. È sul Mar Nero, hai presente?».
«Come la Turchia?».
«Proprio».
«Ehm… wow. Si imparano sempre cose nuove. Senti, ti dispiace tenermi un attimo la giacca?».
Aveva già seminato attorno a sé i sacchetti, ora si sfilò il giacchino leggero senza aspettare che Peter assentisse.
Anche se lui non aveva niente in contrario.
Prese l’indumento fradicio, cercando di non bagnarsi a sua volta e, specialmente, di non macchiarlo di grasso. Skye si piegò sul lavandino e si sciacquò la faccia, un gesto che Peter capì solo fino a un certo punto. Era già quasi tutta bagnata dalla pioggia.
Il vestito bianco e dorato che portava sotto la giacca le si incollò alla schiena, rivelando la fascia del reggiseno. E quando si rialzò, in trasparenza… niente, la stoffa sottile e bagnata rivelò tutto, dall’ombelico di lei, al completo di pizzo bianco.
Peter la guardò come un imbecille.
La fissò del tutto disarmato, senza avere idea di che cosa fare.
«Non avete un phon?» chiese lei.
Peter scosse la testa.
Il bagno stesso era poco più di uno sgabuzzino, con un water, un lavabo, l’armadietto con i loro asciugamani e i loro ricambi, perché lavorare in un garage sporcava parecchio…
«Non puoi chiudere la porta? Solo un attimo?».
Peter retrocesse. «Sì, certo, non volevo…»
Skye lo tirò dentro per la felpa e chiuse la porta alle loro spalle. Peter si chiese che cacchio stesse succedendo, se lo chiese con queste esatte parole, ma poi il pensiero gli scivolò via dalla mente, perché Skye si era appena sfilata il vestito e lo stava strizzando nel lavandino in mutande e reggiseno.

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Classificazione: 4.5 su 5.

Il filantropo

Alla clinica pediatrica dove lavora Maggie Honeyville è in arrivo un paziente adulto molto particolare: Eli Talisman, il filantropo che li sovvenziona da anni e che – si dice – non esce mai dalla sua villa. Prima e dopo l’intervento Maggie ha modo di conoscerlo e di apprezzare la sua intelligenza, il suo sense of humour garbato e la sua acuta umanità. A sua volta Eli sembra vedere in lei un’anima affine, o comunque una persona in grado di lenire la sua solitudine. Maggie vorrebbe diventare sua amica, ma si rende presto conto di provare per lui un’attrazione che non è solo spirituale. E quel desiderio potrebbe mettere a rischio un legame reso già difficile dalle circostanze…

La sutura percorreva in orizzontale e per circa sette centimetri il torace alabastrino di Talisman, dato che l’intervento non aveva potuto essere eseguito in endoscopia. Maggie scollò delicatamente tutti i punti dalla pelle, li tagliò e li staccò uno a uno. Talisman non dimostrò in alcun modo di trovare la procedura sgradevole, anche se di certo gradevole non era.
«Le resterà una cicatrice quasi invisibile» disse.
Maggie osservò gli addominali leggermente bugnati di lui, la sua pancia piatta e dura, i piccoli capezzoli circondati da una peluria poco pronunciata… poi le clavicole e il collo, la testa abbandonata sul cuscino e gli occhi socchiusi.
«È andato tutto bene, no?» disse. E lo accarezzò.
La tentazione era stata troppo forte, semplicemente. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma era convinta che a lui non sarebbe dispiaciuto. Lo accarezzò con la punta delle dita subito sotto alla cicatrice.
Talisman si limitò a socchiudere gli occhi ancora di più.
«Sì, tutto bene».
Maggie gli fece scorrere un dito sul torace creando dei lenti cerchi.
«Che cos’è?» mormorò lui, chiudendo del tutto gli occhi.
«Da piccola mia madre diceva che erano formichine che si arrampicavano».
Talisman accennò un sorriso. «Mi piace. È molto… rilassante».
Maggie continuò a solleticarlo. “Che diavolo sto facendo?” si chiese. Ma ormai aveva iniziato e lui sembrava soddisfatto e assonnato. “Sì, e tu?” Lei lo trovava gradevole, intimo, persino sensuale. Lo solleticò attorno a un capezzolo e la bocca di Talisman si dischiuse in un sospiro muto. Maggie non osava sbirciare più in basso per capire se fosse eccitato oppure no. Lei lo era, anche se era un’eccitazione a bassa frequenza. Sfiorandolo in modo quasi impalpabile compose dei cerchi pigri attorno ai suoi capezzoli e più in alto, fino al suo collo. E i suoi capezzoli si erano induriti, dimostrando che gli piaceva.
Ne accarezzò uno con il pollice e quello che avrebbe voluto fare, si rese conto, era inumidirlo con la propria saliva e poi soffiare. Non lo fece. Lo pizzicò dolcemente con le dita.

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Classificazione: 4 su 5.

Fratelli

L’assassino seriale soprannominato dalla stampa “il Vampiro” uccide impunito da quasi dieci anni, appendendo le sue vittime a testa in giù e dissanguandole. Ma gli uomini che uccide si sono tutti macchiati del crimine più osceno: sono molestatori di bambini. Per questo motivo c’è chi crede che il Vampiro non vada neppure punito, visto che in un certo senso rende le strade più sicure.
Ora, però, un nuovo indizio mette i suoi delitti in un’altra luce. Il DNA del Vampiro compare anche su altre scene del crimine, e questa volta le vittime sono giovani donne innocenti.
Per fermare finalmente il mostro, l’FBI si avvale di una consulente fin troppo chiacchierata. Almond Holt, la profiler figlia di un assassino. Grazie alla sua sensibilità unica e talvolta disturbante, Almond si avvicina alla verità… una verità oscura, che affonda le radici nel passato doloroso di due fratelli. A distinguere le vittime dai carnefici avrà solo la sua coscienza…

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Classificazione: 1 su 5.

La camera delle fantasie

Clara Bale è uno squalo del mondo della finanza. Non si è mai concessa distrazioni amorose e sa non essere molto equipaggiata, dal punto di vista della sensualità. Quando il suo compagno le propone un esperimento erotico, finisce per accettare. Nella Camera delle Fantasie uno sconosciuto la inizia al piacere… e la fa vergognare di se stessa. Più tardi Clara scopre di essere stata manipolata e di essersi esposta al ricatto.
È per risolvere questo problema che si rivolge all’agenzia di Ivor Ashworth – un uomo così bello da sembrare impossibile. Clara si affida a lui, anche se è sicura che sia un bastardo narcisista. D’altronde non le serve un pasticcino, le serve un tizio in grado di risolvere i suoi problemi. Ma, conoscendolo meglio, Ivor non è come pensava. Sa essere comprensivo, protettivo e quasi affettuoso. E la porta a vedere in un modo diverso quello che ha provato nella Camera delle Fantasie… e a considerare il desiderio una sensazione piacevole, sempre più piacevole…

Clara sospirò.
«Ha ragione, Ashworth. E non è giusto. Anche tralasciando le ricadute personali… ognuno dei miei sottoposti penserebbe a me in un certo modo… a ogni riunione, no? Mi guarderebbe e vedrebbe l’immagine di me che… non so. Una di quelle immagini».
«Già» ammise lui. Deglutì piuttosto forte e Clara fu di nuovo consapevole di quanto fossero vicini.
«Anche lei, mh?».
Ashworth sembrò un po’ infelice.
«Cerco di non farlo. Spero che apprezzi l’onestà».
«E ci riesce?».
Lui sospirò.
«Quasi mai, no. Mi creda, mi dispiace molto per come è stata incastrata».
«Ma?».
«Ma in quelle foto è davvero… mh. Mi perdoni, se può».
Clara aprì la bocca. La richiuse.
Non aveva messo in conto che lui potesse trovarla eccitante. Per lei erano immagini umilianti, che la facevano sentire stupida e battuta.
Sorrise, divertita.
«In realtà… credo che mi abbia appena fornito un nuovo punto di vista».

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