Tutto per una ragazza “facile”

Lila si è trovata una strana professione: fa recensioni piccanti su You Tube. D’altronde nell’area di New York, per una ragazza laureata da poco in giornalismo non ci sono molte opportunità di lavoro stipendiate decentemente… e il suo canale ha moltissimi follower.
Un giorno come tanti, in un’estate soffocante come solo a Brooklyn, il suo pigrissimo gatto decide di fuggire e di restare intrappolato su un albero. Lila lo insegue ancora vestita da casa, una vicina impicciona chiama i vigili del fuoco e queste sono le imbarazzanti circostanze in cui incontra Jackson, un uomo che sembra scappato da una pubblicità di intimo maschile. La sua amica Sally lo definisce all’istante “un manzo esagerato”, ma Jackson non è solo questo: il suo matrimonio è agli sgoccioli e ha paura di come potrebbe prendere un divorzio sua figlia di sette anni. In un momento del genere le donne proprio non gli interessano, ma Lila ha qualcosa di diverso, qualcosa che lo attrae che lo voglia o meno.
E non conta nulla che lei non abbia nessuna intenzione di avere a che fare con un uomo ancora formalmente sposato, non conta neppure che lui non stia cercando una relazione… quando la scintilla scocca è difficile ignorarla. Nonostante i problemi, i sensi di colpa e il cattivo tempismo.

«Che manzo esagerato» commentò Sally mentre lui si allontanava, a voce bassa per non farsi sentire.
Mentre ognuna delle donne in piedi attorno all’albero – e di sicuro anche qualche uomo – si scioglieva nella sua personale nuvoletta di endorfine, il pompiere moro saltò sul camion e iniziò ad arrampicarsi sulla scala. Il gatto George lo guardò con profondo sospetto e si voltò per mostrargli il suo lato B. O, più probabilmente, per cercare una via di fuga che gli risparmiasse l’umiliazione di essere preso in braccio da uno sconosciuto.
Non ne trovò e il pompiere lo sollevò delicatamente, tenendolo nell’incavo di un braccio come un pupo peloso e dagli occhi a fessura. George se ne restò buono.
Il suo salvatore ridiscese la scala tenendosi con una mano sola, saltò giù dal camion e tornò verso di me. Non so perché, ma il tempo sembrò rallentare. Okay, magari lo so anche, perché.
Diciamo che mentre George mostrava a tutti il suo lato B peloso, il suo pubblico si era un po’ distratto guardando il lato B del pompiere. Era un ottimo lato B.
«Ecco qua l’arrampicatore» annunciò lui, con un sorriso divertito.
Si avvicinò per farmi prendere George, il quale pensò bene di aggrapparsi al suo braccio con le unghie.
Chiusi gli occhi e sospirai, mortificata.
«Se potesse staccarlo…» disse lui.
Staccai entrambe le zampette di George dai bicipiti del pompiere.
«Mi dispiace davvero moltissimo, mi creda».
Lui si guardò il braccio. «Nessun danno».
Era parecchio più alto di me e per passarmi George si sporse sopra la mia spalla destra. Sentii una goccia cadermi su una clavicola e poi scivolare giù, tra i miei seni, e mi resi conto che era una goccia del suo sudore.
Presi il gatto. Il pompiere mi sembrò imbarazzato.
«Mi… dispiace» borbottò.

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Classificazione: 5 su 5.

Tra le braccia di uno sconosciuto

È una giornata di pioggia e Pete sta fumando una sigaretta fuori dall’officina dove lavora, quando gli corre addosso una ragazza. Skye, fradicia, piangente, disperata, con mille sacchetti dello shopping in mano e un aspetto “costoso”.
Pete le offre di usare il bagno dell’officina per asciugarsi e di chiamarle un taxi. Skye si stringe a lui e lo bacia, quasi lo costringe a fare l’amore con lei. Lì, su due piedi. Pete pensa che sia matta, ma è anche bellissima… la asseconda. Subito dopo lei scappa via, riprendendo tutti i suoi sacchetti tranne uno. Pete si ritrova con una gran confusione in testa e una borsetta di marca da restituire a quella sconosciuta fuori di testa. Ma lo è davvero? In qualche modo Pete sente che Skye è molto diversa dalla donna disperata che ha incontrato quel giorno sotto la pioggia…

Le aprì la porta del piccolo bagno.
«Ci sono degli asciugamani puliti in quell’armadietto» spiegò.
Lei si decise a rivolgergli un sorriso. Un sorriso incantevole, in realtà, fatto di denti bianchi e perfetti. «Grazie. Sei gentile. Io sono Skye».
«Io Peter. Cioè, in realtà sarebbe Petre, ma tutti mi chiamano Peter».
Skye prese un asciugamano, lo esaminò per qualche secondo con vago scetticismo, e iniziò a strofinarsi i capelli.
«Petre. Perché?».
«Sono nato in Georgia».
Lei aggrottò le sopracciglia. «Non sapevo che in Georgia…»
Peter rise. «Non la Georgia americana. Quella europea».
«Ah». E poi: «C’è una Georgia anche in Europa?».
Lui rise di nuovo. «E già. Anche se è un po’ in Asia. È sul Mar Nero, hai presente?».
«Come la Turchia?».
«Proprio».
«Ehm… wow. Si imparano sempre cose nuove. Senti, ti dispiace tenermi un attimo la giacca?».
Aveva già seminato attorno a sé i sacchetti, ora si sfilò il giacchino leggero senza aspettare che Peter assentisse.
Anche se lui non aveva niente in contrario.
Prese l’indumento fradicio, cercando di non bagnarsi a sua volta e, specialmente, di non macchiarlo di grasso. Skye si piegò sul lavandino e si sciacquò la faccia, un gesto che Peter capì solo fino a un certo punto. Era già quasi tutta bagnata dalla pioggia.
Il vestito bianco e dorato che portava sotto la giacca le si incollò alla schiena, rivelando la fascia del reggiseno. E quando si rialzò, in trasparenza… niente, la stoffa sottile e bagnata rivelò tutto, dall’ombelico di lei, al completo di pizzo bianco.
Peter la guardò come un imbecille.
La fissò del tutto disarmato, senza avere idea di che cosa fare.
«Non avete un phon?» chiese lei.
Peter scosse la testa.
Il bagno stesso era poco più di uno sgabuzzino, con un water, un lavabo, l’armadietto con i loro asciugamani e i loro ricambi, perché lavorare in un garage sporcava parecchio…
«Non puoi chiudere la porta? Solo un attimo?».
Peter retrocesse. «Sì, certo, non volevo…»
Skye lo tirò dentro per la felpa e chiuse la porta alle loro spalle. Peter si chiese che cacchio stesse succedendo, se lo chiese con queste esatte parole, ma poi il pensiero gli scivolò via dalla mente, perché Skye si era appena sfilata il vestito e lo stava strizzando nel lavandino in mutande e reggiseno.

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Classificazione: 4.5 su 5.

Il filantropo

Alla clinica pediatrica dove lavora Maggie Honeyville è in arrivo un paziente adulto molto particolare: Eli Talisman, il filantropo che li sovvenziona da anni e che – si dice – non esce mai dalla sua villa. Prima e dopo l’intervento Maggie ha modo di conoscerlo e di apprezzare la sua intelligenza, il suo sense of humour garbato e la sua acuta umanità. A sua volta Eli sembra vedere in lei un’anima affine, o comunque una persona in grado di lenire la sua solitudine. Maggie vorrebbe diventare sua amica, ma si rende presto conto di provare per lui un’attrazione che non è solo spirituale. E quel desiderio potrebbe mettere a rischio un legame reso già difficile dalle circostanze…

La sutura percorreva in orizzontale e per circa sette centimetri il torace alabastrino di Talisman, dato che l’intervento non aveva potuto essere eseguito in endoscopia. Maggie scollò delicatamente tutti i punti dalla pelle, li tagliò e li staccò uno a uno. Talisman non dimostrò in alcun modo di trovare la procedura sgradevole, anche se di certo gradevole non era.
«Le resterà una cicatrice quasi invisibile» disse.
Maggie osservò gli addominali leggermente bugnati di lui, la sua pancia piatta e dura, i piccoli capezzoli circondati da una peluria poco pronunciata… poi le clavicole e il collo, la testa abbandonata sul cuscino e gli occhi socchiusi.
«È andato tutto bene, no?» disse. E lo accarezzò.
La tentazione era stata troppo forte, semplicemente. Sapeva che non avrebbe dovuto farlo, ma era convinta che a lui non sarebbe dispiaciuto. Lo accarezzò con la punta delle dita subito sotto alla cicatrice.
Talisman si limitò a socchiudere gli occhi ancora di più.
«Sì, tutto bene».
Maggie gli fece scorrere un dito sul torace creando dei lenti cerchi.
«Che cos’è?» mormorò lui, chiudendo del tutto gli occhi.
«Da piccola mia madre diceva che erano formichine che si arrampicavano».
Talisman accennò un sorriso. «Mi piace. È molto… rilassante».
Maggie continuò a solleticarlo. “Che diavolo sto facendo?” si chiese. Ma ormai aveva iniziato e lui sembrava soddisfatto e assonnato. “Sì, e tu?” Lei lo trovava gradevole, intimo, persino sensuale. Lo solleticò attorno a un capezzolo e la bocca di Talisman si dischiuse in un sospiro muto. Maggie non osava sbirciare più in basso per capire se fosse eccitato oppure no. Lei lo era, anche se era un’eccitazione a bassa frequenza. Sfiorandolo in modo quasi impalpabile compose dei cerchi pigri attorno ai suoi capezzoli e più in alto, fino al suo collo. E i suoi capezzoli si erano induriti, dimostrando che gli piaceva.
Ne accarezzò uno con il pollice e quello che avrebbe voluto fare, si rese conto, era inumidirlo con la propria saliva e poi soffiare. Non lo fece. Lo pizzicò dolcemente con le dita.

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Classificazione: 4 su 5.

La camera delle fantasie

Clara Bale è uno squalo del mondo della finanza. Non si è mai concessa distrazioni amorose e sa non essere molto equipaggiata, dal punto di vista della sensualità. Quando il suo compagno le propone un esperimento erotico, finisce per accettare. Nella Camera delle Fantasie uno sconosciuto la inizia al piacere… e la fa vergognare di se stessa. Più tardi Clara scopre di essere stata manipolata e di essersi esposta al ricatto.
È per risolvere questo problema che si rivolge all’agenzia di Ivor Ashworth – un uomo così bello da sembrare impossibile. Clara si affida a lui, anche se è sicura che sia un bastardo narcisista. D’altronde non le serve un pasticcino, le serve un tizio in grado di risolvere i suoi problemi. Ma, conoscendolo meglio, Ivor non è come pensava. Sa essere comprensivo, protettivo e quasi affettuoso. E la porta a vedere in un modo diverso quello che ha provato nella Camera delle Fantasie… e a considerare il desiderio una sensazione piacevole, sempre più piacevole…

Clara sospirò.
«Ha ragione, Ashworth. E non è giusto. Anche tralasciando le ricadute personali… ognuno dei miei sottoposti penserebbe a me in un certo modo… a ogni riunione, no? Mi guarderebbe e vedrebbe l’immagine di me che… non so. Una di quelle immagini».
«Già» ammise lui. Deglutì piuttosto forte e Clara fu di nuovo consapevole di quanto fossero vicini.
«Anche lei, mh?».
Ashworth sembrò un po’ infelice.
«Cerco di non farlo. Spero che apprezzi l’onestà».
«E ci riesce?».
Lui sospirò.
«Quasi mai, no. Mi creda, mi dispiace molto per come è stata incastrata».
«Ma?».
«Ma in quelle foto è davvero… mh. Mi perdoni, se può».
Clara aprì la bocca. La richiuse.
Non aveva messo in conto che lui potesse trovarla eccitante. Per lei erano immagini umilianti, che la facevano sentire stupida e battuta.
Sorrise, divertita.
«In realtà… credo che mi abbia appena fornito un nuovo punto di vista».

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Classificazione: 5 su 5.

Trasgressione

Per Chris Keller la routine è fondamentale: accompagnare il figlio a scuola, andare al lavoro, riprendere il figlio a scuola, portarlo dalla madre e dal suo nuovo compagno quando è il loro turno, non creare scossoni in un equilibrio ottenuto a fatica…
Le sue storie sono sempre brevi e inconsistenti, lui stesso spiega alle sue partner al primo appuntamento che non vuole complicazioni.
E con Alexis… sembra che sarà più o meno come con tutte le altre. Certo, Alexis non è nata donna. È qualcosa di diverso, qualcosa di forse esotico, ma non troppo. Chris è un progressista, non ha pregiudizi. Se Alexis un tempo era un uomo, per lui non ha importanza. Ora è una splendida donna, e comunque sarà una storiella come le altre. Un tocco di trasgressione.
Ma le cose non sono come sembra, non vanno come pensa, non si possono controllare. Tutto è complicato e bellissimo, difficile, fragile, eccitante. La vera trasgressione non è quella che Chris immaginava… e forse è meglio così.

Quando Alexis gli aprì la porta di casa, lui le allungò un mazzo di fiori.
«Non posso crederci» disse lei, con un sorriso felice. Si fece da parte per farlo entrare.
«Ho pensato che se proprio andasse tutto malissimo, almeno ti ricorderai che ti ho comprato dei fiori».
Lei rise sottovoce e lo guidò verso l’interno dell’appartamento.
Dispose i fiori in un vaso sull’isola della cucina, in silenzio.
Chris era teso e arrapato in misura uguale. Aveva paura che tutto si sarebbe sgretolato molto in fretta e aveva altrettanta paura che non lo facesse.
Alexis aveva i capelli raccolti in un nodo lasco, gli occhi bistrati di scuro, le labbra truccate.
Aprì un mobiletto e gli servì un dito di vino rosso. Ne bevve un sorso anche lei, guardandolo.
«Penso che dovresti dirmi che cosa vuoi che faccia. Credo che renderebbe le cose… più facili».
Lui annuì. Deglutì.
«Potresti… scostare un po’ i lembi di quella vestaglia. Farmi vedere le tette».
Alexis lo fece. Scostò appena uno dei lembi e Chris vide… il suo petto che si alzava e abbassava veloce, il piccolo seno tondo, adolescenziale…
Posò il bicchiere e le si avvicinò.
Le sfiorò la mammella con le nocche di una mano. «Sei così bella».
Lei socchiuse le labbra, quella maledetta. Sospirò silenziosamente.
«Andiamo in camera» decise Chris.
Alexis lo guidò lungo un corridoio. Era come se si fosse messa a sua disposizione e anche quello lo eccitava, in quel momento particolare.
«Ti… ti spogli?» le chiese.

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Classificazione: 3.5 su 5.

La sopravvissuta

C’è un trauma, nel passato di Helen Spiro: i sei giorni in cui è stata prigioniera su una piattaforma petrolifera, sequestrata insieme al resto del personale da un gruppo di estremisti. Oltre a quel trauma c’è anche un incubo: il modo in cui la stampa scandalistica ha spolpato la sua vita quando è finalmente scesa a terra. Per sopravvivere ha dovuto scrivere un libro con la sua versione dei fatti e mettersi completamente a nudo.
C’è un divorzio, nel passato recente di Francis Trent, amministratore delegato di un gruppo energetico. Un divorzio mediatico e doloroso, che lo sta privando del suo bene più prezioso: la riservatezza. E anche nel suo passato c’è il sequestro di Helen… di tutti i lavoratori della piattaforma, quando lui lavorava per il governo e la sua carriera era appena agli inizi.
Ora le loro storie si sono appena incrociate. Nessuno dei due vorrebbe affrontare il passato dell’altro, ma forse non avranno altra scelta…

Lui le aprì la porta del bagno.
Era strano essere lì, nella sua stanza, da sola con lui. Come se all’improvviso fosse tutto troppo intimo. Ma era anche un’intimità molto piacevole.
Helen posò la giacca accanto alla borsa, accese la luce del bagno e iniziò a slacciarsi la camicia. Lo fece dandogli le spalle, ma senza chiuderlo fuori. Inoltre… davanti a lei, a qualche metro di distanza, c’era lo specchio del lavandino.
«Sono tutte bagnate e appiccicose, vero?» le chiese Trent.
«Già».
Lei finì di slacciarsi la camicia e se la sfilò, restando con il reggiseno di pizzo bianco e la gonna a vita alta dritta, sotto al ginocchio.
Staccò il phon dal suo supporto e iniziò a usarlo per asciugare la macchia bagnata.
Lui si grattò la nuca, evidentemente combattuto.
Alla fine disse: «Dai qua, lo lavo».
Le andò alle spalle e le sganciò il reggiseno. Glielo sfilò con gesti gentili, un po’ impacciati. Le sfiorò la parte inferiore dei seni, che erano davvero umidicci e un po’ appiccicosi.
«Sì, devi lavare anche queste» considerò, con un lieve sorriso.
Si scostò. Aprì il rubinetto, ma aspettò ancora un attimo prima di mettere il reggiseno sotto il getto dell’acqua. Invece se lo portò alle narici e aspirò, chiudendo gli occhi.
«È un po’ l’odore di tutto quello che mi piace nel mondo» disse. «Un profumo floreale, il sudore di una donna e il whisky. Che bouquet perfetto».

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Classificazione: 4 su 5.

Due sconosciuti

Louise Stone è una detective della Omicidi nel distretto finanziario di Manhattan, ma la sua vita non è fatta di solo lavoro. Ha anche una figlia quattordicenne che ha cresciuto da sola e… no, niente: la sua vita sentimentale è piatta come l’elettrocardiogramma di un sasso. Finché, durante la soluzione di un caso, non incontra Nicholas Bryant, direttore di un’agenzia di consulenze dal seducente sguardo smeraldino. Nicholas la prende alla sprovvista con una proposta chiara: sesso, senza complicazioni sentimentali. Louise decide di concedersi un pomeriggio con quell’affascinante sconosciuto…

Nicholas posò un bicchiere di vino rosso sul bancone, davanti a me, e se ne versò uno a sua volta. Aspettò che bevessi un sorso, poi, nel modo più naturale del mondo, si sporse verso di me e mi depose un bacio sul collo.
Non so perché scelse proprio il collo, ma in qualche modo fu perfetto anche quello. Se mi avesse baciata sulle labbra l’avrei trovato troppo intimo, se mi avesse baciata sulla guancia sarebbe stato troppo impersonale. Mi baciò sul collo e io sentii un brivido di solleticante piacere partire da quel punto.
«Posso scioglierti la treccia?» mi chiese lui.
Annuii.
Mi passò alle spalle e sganciò il mio fermaglio, per poi consegnarmelo. Sentii le sue dita separare le ciocche che componevano la mia treccia, delicate, e poi scivolare sul mio collo e sulle mie spalle. Sentire le sue mani sulla pelle fu come ricordare qualcosa, qualcosa che forse, con precisione, non avevo mai avuto.
Mi slacciò i bottoni della giacca, baciandomi di nuovo sul collo. Me la sfilò e la mise da parte. Sfilò e mise da parte pure la mia fondina ascellare, ma per quella ci mise un po’ di più. A quel punto mi voltai. Non volevo trovarmi nuda con lui ancora alle spalle e ancora vestito. Lo baciai sulle labbra, senza quasi guardare. Un bacio veloce e profondo, dal quale mi ritrassi subito, temendo di essere stata invadente. Nicholas mi accarezzò i capelli e mi tirò di nuovo la testa vicino alla sua. Le nostre labbra si toccarono ancora, le nostre lingue si intrecciarono.
Il mio cuore batteva all’impazzata.
Non potevo credere a quello che stavo facendo, eppure lo stavo facendo sul serio. L’idea mi faceva girare la testa.

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Classificazione: 4 su 5.

Il tagliatore di teste

Nella cittadina del Texas in cui vive Onie c’è un’unica grande azienda, un mobilificio che dà lavoro a molti degli abitanti, compresa la sua migliore amica. Quando l’azienda viene venduta e si annuncia una razionalizzazione del personale Onie, che scrive per un piccolo giornale locale, si offre di scoprire chi verrà lasciato a casa e usando quali criteri. Chiede un’intervista all’esperto di risorse umane – il “tagliatore di teste” – che la casa madre ha spedito in città per decidere chi tenere e chi licenziare e tenta di estorcergli qualche informazione. Sfortunatamente il tagliatore di teste si accorge del suo gioco. Ancora più sfortunatamente, è un uomo che non si fa scrupoli nell’usare il proprio fascino. Onie scoprirà presto che a scherzare con uno come lui le conseguenze possono essere imprevedibili…

«Non voglio una prostituta, non capisco dove sia il problema. Mi piaci. Sto giocando la carta dell’onestà. Non ho finito, con te. Non ho nemmeno iniziato, perché quando l’abbiamo fatto la prima volta ero concentrato sullo scopo e nient’altro. Se ora sali in camera con me ti farò divertire, lo giuro».
«No».
Sospirò.
«Okay, allora fermati da qualche parte. Un parcheggio, uno spiazzo».
«Perché, scusa?».
Mi guardò in silenzio per un paio di secondi.
Scosse le spalle. «Devo andare in bagno».
Pensai che avrebbe potuto aspettare fino in albergo, ma forse gli scappava parecchio. In fondo aveva bevuto una birra e tutti sanno l’effetto che fa la birra fredda nelle serate calde. Trovai uno spiazzo a ridosso di una macchia di vegetazione, oltre il parcheggio di un supermercato chiuso. La configurazione di Sommerville aiuta, in questi casi, perché a parte il centro è fatta di costruzioni ben distanziate, di solito a un piano, che compongono una periferia ordinata di villette a schiera e zone commerciali.
Mi accostai e spensi il motore. Riley si slacciò la cintura e si girò dalla mia parte.
«Be’? Non scendi?».
Si allungò per baciarmi. Il bacio che mi aveva dato nel pub, in confronto, quasi scomparve perché quello fu un bacio di tutt’altra qualità. Un bacio affamato, quasi un morso, che continuò e continuò.
«Quest’ultima cosa era una bugia» disse, prima di riprendere a baciarmi.
Cercate di capirmi. Quell’uomo era assolutamente pessimo, era una cosa che sapevo benissimo, ma era anche un concentrato di lussuria. Non era solo bello, non era solo sensuale… no, ti faceva venire voglia di farci cose insieme.

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Classificazione: 4.5 su 5.

Sale sulla pelle

Nathalie lavora in un grosso studio legale di New York, Hunter è l’amministratore delegato di una società di elettronica. E si detestano da anni. Nathalie ha più volte gestito delle cause contro la sua azienda ed è arrivata a odiarlo. Il sentimento è reciproco. Durante un patteggiamento lo stress per il superlavoro si fa sentire in tutti e due, e Hunter e Nathalie finiscono per azzuffarsi. Al pronto soccorso si imbattono in un medico dall’invidiabile abbronzatura e con l’aria rilassata di chi è appena rientrato da una vacanza da sogno. Club Sea, Caraibi. Conquistati dalla prospettiva, entrambi decidono di concedersi un periodo di riposo nel paradisiaco villaggio turistico… senza sapere che l’altro ha avuto la stessa idea. Quando scoprono di essere a un bungalow di distanza quasi si azzuffano di nuovo, ma poi… sarà il mare, sarà la sabbia, sarà il sale sulla pelle… tra loro inizia a nascere un’attrazione che non avrebbero mai potuto prevedere… e a cui nessuno dei due vorrebbe cedere.

Nella sala riunioni in cui lei e il suo assistente vennero fatti accomodare non potevano esserci più di quindici gradi. Per Nathalie non era una sorpresa. Anche durante i due incontri precedenti nella stanza faceva troppo freddo, forse solo per metterla a disagio. Avrebbe potuto portarsi un maglioncino o qualcosa del genere, ma non l’aveva fatto. Non intendeva dare al maledetto Sevier nessuna soddisfazione.
Ed eccolo lì, come supponeva, a braccia conserte all’altro capo del tavolo. Arrogante. Protervo. Indifferente al destino delle persone a cui aveva tolto di colpo i mezzi di sostentamento.
Nathalie detestava il suo tipo e detestava anche lui personalmente.
Alto, moro, gelido. Bello, a suo modo, ma con lo sguardo vuoto, le iridi glauche che ti scansionavano come fossi un oggetto, la mascella sempre contratta e le labbra sempre piegate in un sorriso sprezzante quasi impercettibile. Il tutto incartato in un completo da cinquemila dollari che serviva a ricordarti quale fosse il tuo posto del mondo: sotto di lui, se possibile lontano dal suo sguardo.
Hunter osservò freddamente l’ingresso dell’avvocato Eastlake. Quella tr**a.
Hunter di solito disapprovava le volgarità, specie quelle sessiste. Apparteneva alla generazione che aveva inventato la correttezza politica ed era convinto che, se applicata con giudizio, rendesse il mondo un posto migliore. Dentro di sé avrebbe potuto definire l’avvocato Eastlake “quella str**za”, quindi, o anche “quell’infame”, ma non c’era niente da fare, la frase che la descriveva meglio era la più volgare e sessista: quella tr**a.  
Dunque, quella tr**a entrò nella sala riunioni come se sentisse odore di merda, lo guardò come se al suo posto ci fosse una cacca di cane fumante e scostò la poltroncina all’altro capo del tavolo come se fosse imbrattata di feci. Ecco, altre volgarità, ma Hunter non riusciva proprio a evitare di pensarle, quando vedeva l’avvocato Eastlake.

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Classificazione: 4 su 5.

Il suo migliore amico

Dopo la morte di Mark Charlotte è sicura che non si innamorerà mai più. Perderlo ancora giovane è stato troppo doloroso, e anche se sono passati degli anni e parte della tristezza se n’è andata non pensa di poter mai più provare qualcosa di così intenso per un uomo. Finché non è proprio una lettera “postuma” di Mark a farle rincontrare il miglior amico di lui, Victor, donnaiolo incallito da sempre disinteressato a lei. O così crede Charlotte.

«Ero amico di Mark, okay? Non… non sarebbe stato…»
«Non sarebbe stato?».
«Ah, lascia perdere».
Lei ridacchiò. Si voltò su un lato per avvicinare il naso alla sua faccia.
«No, dai. “Non sarebbe stato” che cosa? Appropriato? Cazzo, tu e Mark eravate come fratelli. Non avrebbe mai pensato che volevi portarmi a letto».
Victor si voltò dalla sua parte, innervosito. I loro nasi si sfiorarono.
«Voglio portarti a letto ora, però».
Charlotte restò praticamente fulminata. Non ci aveva pensato. Si era avvicinata sempre di più, con la massima naturalezza, e ora…
Be’, Victor l’aveva colta alla sprovvista.
Guardò nei suoi occhi per un tempo che le parve interminabile, bloccata. Occhi blu scuro, un po’ addolorati e tuttavia pieni di desiderio.
«Mmmh, sono sbronzo» ammise lui, alla fine, vedendo che Charlie non dava segno di vita.
«A-anch’io» sussurrò lei.
«Sì, lo so. Ne hai bevuto quanto me e la tua massa corporea è sicuramente inferiore alla mia, dunque sei più sbronza di me».
«No, intendevo…»
Si sporse ancora un pochino e lo baciò sulle labbra.
Dopo un secondo di confusione Victor rispose al bacio. Le accarezzò la nuca, infilandole le dita tra i capelli. Charlotte chiuse gli occhi e gli appoggiò una mano sul petto. Il suo cuore batteva così forte che riusciva a sentirlo attraverso la maglia.
«Dio, è… strano» le mormorò nella bocca. «Strano-bello, ma…»
«Per favore. Non scopo da una vita».
Lui si mise a ridere. «“Per favore” che cosa?».
«Per favore non dire qualcosa come che ti sembra di scopare con la moglie del tuo amico. Non sono più sua moglie. Abbiamo divorziato quando è morto, okay?».
Lui rise di nuovo. La baciò di nuovo. «Non mi stavo tirando indietro, eh».
«Ah. Meno male» sospirò lei. Lo spinse sul pavimento, continuando a baciarlo. «Potresti, tipo…»
«Tipo?».
«Sbattermi. Forte». Sospirò. «Per favore».
«Cristo, è sexy che continui a chiederlo per favore».

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Classificazione: 4 su 5.