Dimenticare di ex e altri esercizi zen

Josephine immaginava una vita con Andrew. Erano perfetti. Entrambi giornalisti, lui direttore del canale all-news in cui lavoravano entrambi, affiatati a letto, grande intesa intellettuale. Ma Andrew l’ha scaricata e la vita di Jo è andata a pezzi.
Proprio in quel momento però, neanche fosse un segno del destino, Jo riceve in eredità una casa nell’Essex. È il luogo perfetto in cui rintanarsi per leccarsi le ferite e meditare sulla propria vita. Andare avanti non è per niente facile. È ossessionata dal ricordo di Andrew. Ogni mattina si sveglia pensando a lui, il corpo che lo desidera fisicamente, la mente che continua a ripercorrere ogni istante della loro relazione. Di Patrick O’Rourke neanche si accorge. Certo, Patrick è bello, è l’uomo più bello che abbiano mai visto da quelle parti. Al pub locale le ragazze cercano modi sempre nuovi per avvicinarlo, fallendo ogni volta.
Jo per fortuna è immune. Ma lo è davvero?

«Alla fine non è così male. Olivia, dico».
Erano sul pick-up di O’Rourke e stavano tornando a casa. Era strano quel pensiero. Stavano tornando a casa.
«Quindi, tutto considerato, potresti persino darle una possibilità?»
«No».
Jo rise di quella risposta così netta.
«Okay. Tra l’altro, credo che abbia qualcosa in corso con il rappresentante della Guinness».
«Bene. Non voglio sembrare altezzoso o roba del genere. È proprio che…»
«Olivia gioca in un altro campionato. Lo sa anche lei».
«Eh? Quale campionato?»
Jo sbuffò. «E dai».
«No, guarda, non gioco in nessun campionato. Non gioco».
«Cioè sei impotente?»
O’Rourke iniziò a tossire e il pick-up sbandò. Poi si mise a ridere. «Ti sembrano cose da chiedere?»
«Scusa. Capisco che non ti vada di parlarne. È un problema increscioso».
Lui rise ancora. «Essere impotente è
un problema increscioso, secondo te? Si vede che non sei un maschio».
«Scusa. Sul serio. Mi dispiace. È una tragedia».
Lui scosse la testa, continuando a ridere. «Non sono impotente. Sono solo non-praticante. Non voglio… non voglio nessuno tra i piedi». Fermò il pick-up davanti alla porta laterale. Gli alberi, attorno alla casa, erano macchie scure contro il cielo blu e nell’aria c’era odore di terra umida. O’Rourke spense il motore, ma non scese ancora. «Sto elaborando della roba. Roba che mi è successa. Brutta. E non voglio qualcuno che inizi ad aspettarsi da me… non lo so. Affetto, partecipazione, interesse. Non ho niente da offrire».

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Classificazione: 4 su 5.

Dalla parte di nessuno

La guerra civile infuria quasi da sei anni in Terassia, una minuscola nazione contesa tra l’est e l’ovest del mondo, quando Zeeva Farley arriva a Silvka, una delle principali città del paese. Zeeva è una corrispondente britannica, una giornalista dallo sguardo acuto e dalla mente curiosa. L’attacco su larga scala da parte di una delle fazioni in lotta coglie alla sprovvista lei e il suo operatore, Kostya. Nell’apocalisse dei bombardamenti, vengono tratti in salvo da una milizia di ex-appartenenti alle forze armate, che consente loro anche di documentare la situazione in città. È in questo modo che conoscono Maksym Sewick, il comandante della compagnia di soldati irregolari che sta cercando di proteggere la popolazione civile dagli attacchi dei loro stessi governanti. Il suo lavoro ha insegnato a Zeeva a costruire in fretta rapporti significativi con persone degne di fiducia, e capisce subito che Sewick può essere forse un uomo complicato, ma è una persona degnissima. Quello che non immagina è che conoscerlo cambierà per sempre la sua vita…
Una storia di guerra e di amicizia, di azioni avventate e amore, di coraggio e di follia. E di speranza, una speranza che muove il mondo.

«Ho letto i suoi articoli, signora Farley».
Stava albeggiando e Zeeva non era riuscita a dormire un attimo. Maksym Sewick l’aveva trovata seduta per terra in un angolo, in corridoio, con il laptop aperto sulle cosce.
«Signora Farley sembra il nome di mia nonna. Può chiamarmi Zeeva come tutti».
Il viso di Sewick rivelò un certo disagio, ma finì per annuire, forse decidendo che il livello di informalità con quella sconosciuta non aveva davvero importanza, mentre la città veniva fatta a pezzi da tre diversi eserciti.
«Ho letto i tuoi articoli, Zeeva. Quelli su di noi, ma anche gli altri pezzi che sono comparsi sul giornale per cui scrivi. Sei stata alla tua parola e cerchi di dipingere in modo… equilibrato quello che sta succedendo al mio paese. A volte diventi un po’ melodrammatica, ma… be’».
«Scusi se glielo faccio notare, comandante, ma ci sono dei bombardamenti in corso. Si combatte nelle strade. Ieri notte ho visto l’ospedale di Medici Senza Frontiere bruciare, colpito da un attacco skhidni. Non credo di essere melo-drammatica. La situazione è drammatica, punto. Non trova?».
Sewick la guardò in silenzio per diversi secondi.
Zeeva poteva vedere che era stanco, spossato. Aveva la faccia nera di fuliggine, ma solo sui bordi, come se avesse cercato di ripulirsela con un asciugamano umido o qualcosa del genere. E la sua manica sinistra era scura di sangue ormai rappreso.
«I governativi stanno perdendo terreno. Le loro truppe sul campo sono inadeguate. L’unica cosa che tiene ancora a bada l’avanzata degli insorti sono gli attacchi arei. Attacchi che radono al suolo interi isolati di Silvka in un colpo solo».
«Isolati pieni di persone, lo so. L’ho visto. Stanno bombardando la loro stessa gente».
Sewick annuì. «Come ti dicevo… penso di sapere che tipo sei, Zeeva. Vedi le cose con chiarezza. Vai dritta al punto. In città la situazione non andrà a migliorare».

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Classificazione: 1.5 su 5.

La danza dei cent’anni

Kingdom of Nowhere 1

Comincia tutto con una grande luce. Audrey Clark, detective della polizia di Montreal, un attimo prima sta inseguendo un sospetto di omicidio e un attimo dopo si trova in un villaggio dall’aspetto antico, medievale. La gente la spinge verso una piazza e qua… un rogo è stato preparato per una ragazza vestita di bianco. Audrey pensa di essere morta, di essere in coma, di avere un’allucinazione; tutto è più credibile della realtà: è nel 1431, in Francia, e a quanto pare la Guerra dei Cent’Anni per lei non è più solo una nozione storica. Il suo involontario compagno di viaggio è Heraut d’Aubert, uomo orgoglioso e permaloso, che però sembra in grado di superare i pregiudizi del suo tempo e fidarsi di una donna…

Non so quanto tempo rimasi accucciata lì, sulla riva del fiume. So solo che a un certo punto qualcuno mi tirò su per le ascelle e mi fece allontanare. Ripresi a sentire: i miei stessi singhiozzi, le mie stesse parole smozzicate.
Heraut mi abbracciò. Indossava la coperta come una specie di peplo romano.
«Madame Audrey… che cosa vi succede, all’improvviso? Perché l’anno in cui siamo vi addolora così tanto?».
Tirai su con il naso. «Non mi credereste».
«Mettetemi alla prova».
Lo guardai. Mi accigliai. «Dovevate restare fermo. Siete ferito».
«Bene, non l’ho fatto. Ora ditemi che cosa vi turba così tanto. Vi crederò».
«Sono nata nel 1985. Ieri mattina mi sono svegliata nel mio presente, il 2018. Poi c’è stata una luce bianca fortissima… mi sono trovata qua».
Heraut non si mise a ridere.
Come avrei scoperto in seguito, era il genere di persona che capisce in fretta le cose e che prende in fretta le sue decisioni, se necessario, ma sempre concedendosi un attimo per ponderare a mente fredda.
Mi fissò per quasi un minuto, pensieroso. Toccò la stoffa del mio giaccone, su una manica. Fece scorrere un dito lungo la cerniera, mosse il tiretto su e giù. Non appena ne comprese il meccanismo, mi aprì la giacca. Osservò le tasche interne, la fondina ascellare, il maglioncino aderente che avevo sotto. Ne toccò il filato, in basso, vicino a uno dei miei fianchi. Studiò i miei jeans elasticizzati senza toccarli, poi i miei stivali.
«Le vie del Signore sono misteriose, sapete. Sì, vi credo. Comunque non penso che sia impossibile».

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Classificazione: 3 su 5.

L’amante immortale

The New Little Black Chronicles

La vecchia casa di famiglia in Scozia non è stata un granché nei pensieri di Hazel, negli ultimi anni. È un cottage pericolante, semi-inghiottito dalle erbacce, disperso nel nulla. L’edificio più vicino è un castello in rovina di epoca medioevale, ovviamente disabitato… o almeno così sembra.
Quando Hazel, dopo la morte della madre, si decide a tornare alla vecchia casa per ripulirla e metterla in vendita, non si aspetta di trovare un vicino. Edan è brusco, burbero, scozzese fino al midollo, e ha un cane a cui piace un po’ troppo leccare la faccia alle persone. Ma è anche in grado di accendere un camino a legna e usare un tagliaerba, quindi ha i suoi aspetti positivi.
Ah, ed è bello, a modo suo. Affascinante e scompigliato, anche se scostante. In realtà, conoscendolo meglio, vengono fuori sempre nuovi lati positivi… e un lato negativo davvero ingombrante, visto che Edan non è esattamente un essere umano.
Ma come lui stesso dice a Hazel in tono seccato: «Dannazione, è il 2017, che cosa c’è di così sconvolgente in un vampiro?».

Si voltò dal mio lato. La luce della candela giocava sui suoi lineamenti irregolari, eppure affascinanti. Sì, principalmente lo trovavo bello. Sexy. Virile. Con quei capelli scuri in disordine e gli occhi brillanti, la pelle compatta e chiara, il naso affilato e un po’ storto e la bocca… una bocca spaventosa, davvero, ma anche attraente.
Socchiuse gli occhi e inspirò. «Mi piace il tuo odore».
«Sì, l’hai già detto. Non so nemmeno di quale odori parli».
«La tua pelle… l’odore del bagnoschiuma… quello della tua eccitazione».
Rimasi in silenzio. Aveva dovuto dirlo lui perché me ne rendessi conto, ma aveva ragione: avevo il sesso umido, irrorato di sangue, in parte dischiuso. Non ne sentivo l’odore, ma sapevo che se mi avesse sfilato i pantaloni del pigiama si sarebbe diffuso nell’aria.
Lui allungò una mano e mi slacciò il secondo bottone del pigiama, rivelando il solco tra i miei seni. I capezzoli mi si erano induriti e quasi mi facevano male.
«Edan…»
«Ho già detto che non ti mordo» rispose lui, un po’ seccato.
«No, lo so. È un po’… complicato, quello che sento per te».
Mi slacciò un altro bottone.
«Mh-mh».
Sospirai. Quell’avvicinamento lentissimo mi piaceva. E mi piaceva lui, i suoi occhi scintillanti, le sue mani dalle vene in rilievo…
Chiusi gli occhi nello stesso momento in cui lui infilava una mano nella blusa e mi soppesava gentilmente una tetta. I suoi polpastrelli erano lisci come seta.

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Classificazione: 3.5 su 5.