Le terre ardenti

Una Grande Onda ha sommerso l’umanità, uccidendo nove decimi della popolazione mondiale e lasciandosi dietro poche comunità isolate che fanno quel che possono per sopravvivere in un ambiente ostile. Lara sta cercando rottami riutilizzabili nel grande “cimitero delle macchine” a pochi chilometri dal suo insediamento, quando scorge un pericolo imminente. Sulla Tavola Ardente infuria una tempesta di sabbia, ma lei deve tornare indietro comunque, per avvisare la sua gente. È Skylar che la salva dalla morte, avvistandola dalla cima dell’altoforno in cui vive. Nel loro insediamento lo chiamano l’Eremita perché esce raramente e passa il tempo a progettare nuovi sistemi per coltivare la loro terra arida e proteggere la loro baraccopoli dai razziatori. Come molti dei sopravvissuti all’Onda, anche lui è ferito nel corpo e nell’anima, ma non si è ancora arreso. Forse è questo ad attirare Lara sempre di più, nonostante abbia già un compagno. È l’inizio di un’avventura pericolosa che porterà Lara e Skylar a superare i confini del loro mondo, verso una difficile rinascita…

Sentirono i passi del razziatore che si allontanavano.
Nel loro angusto nascondiglio, Skylar le accarezzò la testa. Le strofinò la guancia su una guancia e Lara sentì che era bagnata. Solo dopo un attimo si rese conto che le lacrime erano le proprie.
«Shh… shh…» sussurrò lui. «Aspettiamo che tornino indietro, prima di uscire».
Lara annuì. La sua presa sul torace di lui si allentò un po’. I suoi muscoli si rilassarono leggermente. Erano stretti l’uno all’altra, le gambe intrecciate, le guance a contatto. Lara dubitava di essere mai stata così appiccicata a un altro essere umano. Neanche quando faceva l’amore aderiva in quel modo al corpo dell’altro. Be’, di Arvid, per lo più. Non era una che accendesse un granché le fantasie maschili, quindi negli ultimi tempi Arvid era stato l’unico volontario.
«Non ti preoccupare. Al ritorno saranno ancora meno attenti» mormorò Skylar, nel suo orecchio.
«Sì» sospirò lei. Nient’altro.
Fino a pochi minuti prima la paura la paralizzava, ma ora iniziava a percepire di nuovo il mondo. Il corpo di lui stretto al proprio, il suo odore, il suo respiro… forse avrebbe dovuto allontanarsi un po’, ma non voleva farlo. La sua pancia dura era così gradevole, sulla propria. La sensazione dei piccoli seni che premevano sul suo petto…
Ma che cacchio vai a pensare? Fino a tre secondi fa stavi per fartela addosso e ora vorresti strusciarti tutta?
Skylar continuava ad accarezzarle un fianco, tranquillizzante, e Lara chiuse gli occhi e si abbandonò alla sensazione. Le sue dita sopra la stoffa della casacca… poi sotto, sulla pelle morbida della vita… carezze leggere, impalpabili…
Dio, si rendeva conto che la stava attizzando a morte?
Le sue dita continuavano a toccarla… accarezzarla… lisciarla… senza mai allontanarsi dal suo fianco, senza salire verso i seni o scendere… Dio, come avrebbe voluto che scendessero…

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Classificazione: 3.5 su 5.

Desiderio oltre le stelle

Lunaria Wilkinson ha faticato molto per arrivare a ricoprire il posto di assistente del Generale Larsen, lavorare sulla SIS Ales, l’ammiraglia della Societas Intermundi, e occuparsi di politica interplanetaria. Essere lì è un po’ come stare al centro dell’universo e, vista da lì, la guerra fredda con le ex-colonie della Secessione sembra lontana.
Isabelle Lefebvre sulle ex-colonie ci è nata. La sua navicella è finita nelle maglie della Societas e ora è prigioniera su un mondo sperduto della Fascia Esterna. La sua posizione potrebbe essere peggiore, tuttavia. Mentre aspetta di venire scambiata con qualche altro prigioniero viene tenuta nella foresteria della residenza ufficiale del Governatore Brant. Il quale è gentile, seducente, bello come solo gli abitanti dei mondi interni… ma ci si potrà fidare di lui?
Nel contempo Lunaria trova sempre più difficile non cedere al fascino dello scostante Larsen… e forse neppure lui è disinteressato alla questione. Gli basta uno sguardo per farle bollire il sangue… come fare, senza mettere a rischio il lavoro per cui ha tanto faticato?

«Miss Wilkinson? Potrebbe farmi un favore personale?» mi chiese Larsen quella mattina.
«Sì, certo».
«Potrebbe, come dire… smetterla di provare a essere meno sexy?».
Sbattei le palpebre. «Non funziona neanche questo, eh?».
Avrei preso il muro a testate.
«Non capisco. Per favore, me lo spieghi. So che ha cose molto più importanti a cui pensare, ma… solo per questa volta, okay?».
Lui mi fissò. Era seduto dietro la scrivania e io ero in piedi su un lato.
«Sarò sistematico e partirò dall’alto. Non c’è assolutamente nulla che possa fare per rendere meno attraente il suo viso, se non, forse, sfregiarsi. Ma non sono sicuro che funzionerebbe e comunque la invito a non farlo. Anche il suo collo è una causa persa: è lungo, bianco e probabilmente sa di panna. Lo guardi e ti viene voglia di leccarlo. Subito sotto…» fece anche un vago gesto con un dito «…la sua scollatura poco accentuata. Ha uno sterno, Miss Wilkinson, che sembra fatto apposta per essere baciato. Le tette sono coperte, okay, ma sono così sode, tonde e strette nella stoffa che tutto quello che vorresti fare è palparle finché i capezzoli non si induriscono. Come ora».
E, be’… non mi aspettavo niente del genere, quando gli avevo chiesto di spiegarmi come migliorare nell’essere meno sexy. In realtà mentre parlava immaginavo che fosse lui a farlo e l’idea mi stava facendo letteralmente impazzire.
«La gonna vela le sue cosce senza nasconderle. Chiunque sano di mente immagina di morderle… morderle dolcemente sul lato interno fino ad arrivare alla sua fica e succhiarla come un frutto maturo. Spero di essere stato esaustivo».
Mi appoggiai alla scrivania.
«Fin troppo».
«Non faccia così».
Presi aria. Avevo la faccia, il collo e il petto in fiamme.
«Non posso evitarlo».

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Classificazione: 4.5 su 5.

Progettata per il piacere

Evet è una pseudo-umana, fa parte di uno stock di ottanta cloni destinati alla prostituzione. Simile a ogni altra donna, ha delle caratteristiche genetiche che la rendono… molto piacevole nell’intimità. Negli ultimi mesi è stata sull’asteroide minerario Uruk, il posto più duro della galassia o quasi. Quando la miniera viene visitata da un membro dell’Assemblea Evet non sa che la sua vita sta per cambiare. Ason Rodray è un post-umano, un essere dall’aspetto inquietante, trasformato per il suo ruolo, che sta ancora piangendo la propria umanità. Noleggia Evet per una sera, ma le cose non vanno come previsto… e il loro incontro sarà solo l’inizio di una storia di intrighi politici, lotta ai pregiudizi e passione.

«Potreste sedervi sul letto» disse. «Penserò io a tutto».
Il post-umano obbedì, docile.Evet si inchinò ai suoi piedi e gli sfilò gli stivali. Poi si rialzò e si avvicinò ancora, si tirò lentamente su l’orlo della lunga veste bianca, sottile e impalpabile, fino a scoprirsi le cosce. Avanzò ancora, allargando le gambe e restando in piedi davanti a lui, con il seno vicino al suo viso. «Volete aiutarmi a spogliarmi?» chiese.
Ason Rodray la guardò dal basso verso l’alto. Non sembrava molto convinto. Le posò le mani sull’esterno delle cosce, in alto, quasi accanto al sedere. «Che cos’hai di diverso?».
Evet rise sottovoce, maliziosa. «Dovreste accorgervene da solo tra poco, eccellenza».
Rodray spostò una mano, infilandola sotto al vestito di lei. La appoggiò a coppa sul suo sesso. Se fu stupito di trovarlo nudo non lo diede a vedere. La solleticò con le dita. Si portò la mano al naso e annusò una volta. «Roba tua?» chiese.
Evet deglutì. Era… strano. «Sì, eccellenza. Devo essere felice di essere con lei».
Rodray inarcò un sopracciglio e le rivolse un sorriso un po’ sarcastico. «Devi essere geneticamente modificata, piuttosto».
Lei si strinse nelle spalle. Non era particolarmente felice di quell’esame. Non le piaceva che le ricordassero che era stata progettata per dare piacere ai maschi di tutte le specie.
Ma Rodray sembrava incuriosito. Le sfiorò un capezzolo al di sopra del vestito e lo osservò indurirsi all’istante. «Anche questo, mh?».
Evet annuì, sperando che la smettesse.Rodray si allungò verso di lei e iniziò a succhiarle un capezzolo attraverso la veste. La mordicchiò delicatamente ed Evet pensò bene di sospirare.
«Ti piace?» chiese lui.
«Oh, sì, eccellenza» miagolò lei.
Lui sbuffò. «Quindi “no”. Sono solo curioso. Non…» Si fermò, cercando le parole migliori. «Sei così bella che per me non cambia nulla, capisci? Ed è una vita che non sto con una donna».
Le infilò di nuovo una mano sotto al vestito. Questa volta la penetrò con un dito. Evet non sapeva se gemere oppure no. Nel dubbio gemette di piacere. Lo strinse, massaggiandogli gradevolmente il dito.Rodray sorrise. «Wow».

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Classificazione: 5 su 5.

Dietro alte mura

Anna Aextesia è nata e cresciuta in una delle Alte Fortezze, antiche roccaforti costruite in cima a pinnacoli artificiali durante le ultime Guerre. Le Guerre sono finite e ormai da un secolo regna un’instabile pace, quindi l’antica e nobile famiglia Aextesia non ha più un ruolo. Finché ad Anna non viene chiesto di esaminare un prigioniero particolare, un sicario che ha ucciso decine di volte al soldo dei paesi nemici, un Senza Nome sulle cui origini non si sa nulla.Il loro sarà un incontro di mondi, prima ancora che personale. Mondi all’antitesi che non avrebbero mai neppure dovuto sfiorarsi…

«Adesso capisce che cosa intendo?» chiese.
«Certo» risposi, calma, malgrado il cuore mi martellasse ancora nel petto come un tamburo. «Ho capito che non vuole essere sottovalutato solo perché si comporta in modo educato. E che vuole ribadire che anche lei è un professionista, anche se in una disciplina diversa dalla mia. Voleva anche dirmi» aggiunsi «che non le piace essere considerato malato o bisognoso di aiuto. Ecco che cosa ho capito».
DeVrai mi lanciò un’occhiata dura. «Ha capito questo, eh?» disse.
Mi alzai e andai a sedermi davanti a lui, come il mister con un ragazzino della sua squadra. Gli appoggiai le mani sulle ginocchia e lo guardai negli occhi.
«Mi lasci fare a modo mio» gli chiesi. DeVrai appoggiò le sue mani sulle mie. «E mi chiedevo… ha funzionato?» mormorò.
Non distolsi gli occhi dai suoi. Il momento si allungò e diventò sempre più strano, sempre più pauroso e sempre più coinvolgente. Fu come se tutti i nostri discorsi si solidificassero tra noi e creassero un momento sempre più denso. Un momento in cui si raccolse l’energia cinetica dei movimenti di poco prima, del contatto dei nostri corpi, della forza della sua dimostrazione, con cui aveva spostato il baricentro della nostra relazione, che io lo volessi o meno, ricordandomi che lì dentro il più forte era lui.
Fu il momento che temevo. DeVrai mi guardava e io non osavo distogliere gli occhi dai suoi, ma i capezzoli mi si indurirono, letteralmente, e mi eccitai come una scema. Sentii il mio sesso che si dischiudeva e si riempiva di umori. Non abbassai lo sguardo. Non lo fece neppure DeVrai. Continuammo a guardarci come se stessimo giocando al gioco del silenzio, ma percepivo il suo torace che si alzava e abbassava e in qualche modo sapevo che era eccitato come me. Capivo di dover uscire da quella situazione, anche se era difficile separarsi dalle sensazioni che provavo. Erano forti, eccitanti, pericolose.
Annuii lievemente. «Sì» risposi alla sua domanda. «Sì, ho capito».

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Classificazione: 3 su 5.

L’amante sintetico

Haim è il primo androide mai costruito. Esteriormente è uguale a un essere umano e, rispetto ai robot, prova emozioni. È l’essere sintetico più evoluto del mondo, la vetta più alta della tecnologia, il primo rappresentante di una nuova specie. Lo scienziato che l’ha progettato, Eleonore Crais, è un genio nel suo campo. Ha inventato i robot moderni e la CraisRobots fattura miliardi ogni anno. Ma è anche una donna sola, che tiene gli altri a distanza da quando il suo compagno è morto. Non vuole più una relazione con un uomo. Ma Haim non è un uomo, non proprio…

«Si stenda. Lasci che la rilassi. In fondo sono il suo androide, no? Devo occuparmi del suo benessere».
Crais rimase un istante in silenzio, incerta. Doveva utilizzare un suo prodotto? Fino a quel momento l’aveva solo testato.
Poi fece come suggeriva. In fondo utilizzarlo era un suo diritto.
Sentì le mani calde di Haim sulle proprie spalle, che le scioglievano il groviglio che aveva al posto dei muscoli del collo e della schiena. Lui le sfilò molto delicatamente la camicia, massaggiandola in modo assolutamente divino.
Sentì i propri muscoli che si rilassavano, gli occhi che le si chiudevano e il suo corpo che le rimandava piccoli brividi di piacere.
«Continuo?» le mormorò Haim. «Questa volta sarà soddisfacente».
Crais si stiracchiò sul divano e rispose: «Sì… grazie».
Haim le slacciò il reggiseno e lo mise da parte. La accarezzò sui seni e sui fianchi, calmo, perfettamente consapevole di quello che faceva.
Si stese accanto a lei, la baciò sulle spalle, sulle braccia, sul petto. Le accarezzò i capezzoli con la lingua e scese. Le sfilò pantaloni e slip, se la tirò delicatamente sopra e continuò ad accarezzarla. Piano, ipnotico, ovunque.
Dopo un po’ Crais smise di stupirsi di come fosse bravo, di come conoscesse ogni suo punto sensibile e di “valutare” la sua performance.

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Classificazione: 3.5 su 5.

Dei in terra

In un lontano futuro, il mondo occidentale è governato da una timocrazia di sei regnanti. I Timocrati non sono normali esseri umani… la cosa a cui assomigliano di più sono divinità altere e distanti.
Julie è una scienziata, una genetista il cui lavoro ha destato l’interesse della Timocrazia e in particolare dell’essere conosciuto come Marte. Marte le dà tutto quello che ha sempre voluto: fondi, personale, appoggio politico… ma presto Julie inizia a sognarlo e in quei sogni lui non è una divinità altera e distante. E Julie inizia a chiedersi: può un essere umano come lei risvegliare l’amore di un dio?

Quella notte ebbe il primo sogno. Non lo considerò strano, né anomalo. Era stesa a pancia in giù su una superficie morbida. Dormiva, o meglio, sapeva di aver dormito. Si era svegliata, ma aveva gli occhi socchiusi. Aveva la sensazione di essere in un luogo confortevole, dalla luce chiara e rosea, dall’odore pulito. Qualcuno le scostava i capelli dal collo, ma lei non si voltava. Era abbandonata e fiduciosa. Le dita di una mano la toccavano sulla nuca, nel punto in cui la colonna vertebrale diventa scatola cranica. Quelle dita la accarezzavano e poi iniziavano a scendere lungo la sua schiena, contandole delicatamente le vertebre. Julie diventava consapevole di essere nuda.
Le dita scivolavano sempre più in basso e Julie iniziava a desiderare il loro tocco. Non faceva nulla, ma si tendeva lievemente e si inarcava. Quelle mani sconosciute le accarezzavano le natiche.
Julie, nel sogno, voleva che continuassero a toccarla, voleva che la esplorassero in modo autenticamente erotico, ma non diceva nulla. Non parlava. Emetteva solo un lieve sospiro, sperando che quella persona, della cui identità non si preoccupava minimamente, capisse che doveva continuare.
E quella persona continuava. Le solleticava l’interno delle natiche e Julie si inarcava di più. La accarezzava sulle morbide labbra glabre del suo sesso, per poi far scivolare le dita tra loro, nella sua fessura umida e accaldata.
Quelle dita la dischiudevano, delicate e ferme, per poi sprofondarle dentro. Le procuravano un piacere… un piacere lento che saliva e saliva, diventando sempre più corporeo e bruciante. Julie si rendeva conto di ansimare forte e di essere vicina al culmine. Le dita si trasformavano in un membro maschile e qualcuno le posava le mani sulle spalle.
«Continua, ti prego» mormorava Julie.

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Classificazione: 4 su 5.